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Home » Approfondimenti » Psicologi e psicoterapeuti: il clima di guerra e’ contagioso

Psicologi e psicoterapeuti: il clima di guerra e’ contagioso

22/06/2022 scritto da Jessica Ciofi

Nella difficile epoca in cui stiamo vivendo, che ci vede spettatori di guerre così vicine, pare sempre più complesso non lasciarsi contagiare dal clima generale…

Così la nostra professione, la cui storia per la verità è costellata da lotte intestine, ancora una volta si rende protagonista dell’ennesima “guerra civile” che pare assumere toni sempre più drammatici e fratricidi.

Il tema questa volta viene da lontano, dalla “benedetta” e al contempo “maledetta” 56/89, la nostra legge di ordinamento.

La sua stessa storia è frutto di una grande battaglia tra psicologi e medici, soprattutto psichiatri, questi ultimi all’epoca avevano il monopolio della salute mentale e intendevano difenderlo strenuamente accusando gli psicologi di esercizio abusivo della professione (tra le tesi a sostegno, il fatto che il termine psicoterapia fosse un termine medico)…

Vent’anni di lotte (si parlava di una legge infatti fin dagli anni ’70 con l’istituzione dei primi corsi di laurea in psicologia nel 1971 a Roma e Padova) e finalmente, a febbraio ’89 viene pubblicata la nostra legge di Ordinamento, frutto naturalmente di una serie di compromessi.

Tra i tanti, la questione ovviamente della psicoterapia, era necessario trovare il modo di poterla far esercitare sia dai medici che dagli psicologi e da tale necessità ha origine l’art. 3 che affida la formazione degli psicoterapeuti alle scuole di formazione universitarie e private e ne determina la durata.

Già, perché le scuole di psicoterapia durano 4 anni? La risposta è che quella era la durata dei corsi di specializzazione in area medica e dovendo equiparare le specializzazioni (anche per una questione di tipo contrattuale) la durata doveva dunque essere quella.

Esistevano sul finire degli anni ’80 già un centinaio di scuole, soprattutto di stampo psicoanalitico, ma andavano già affermandosi quelle di stampo cognitivista e gestaltico. La loro durata? Estremamente variabile tra 1 e 7 anni.. con un numero di ore ancor più variabile…

Le Scuole riconosciute dal MURST (oggi MIUR) era 18 nel 1993 e 39 nel 1994, numero destinato a salire considerevolmente siano ai giorni nostri (circa 400) e i modelli riconosciuti? I macromodelli sono circa 20 (in fondo metto lo schema).

Ma da cosa è dato tale fiorire di scuole di psicoterapia? Da molte ragioni naturalmente, ma tra queste, dal fatto che praticamente tutti gli psicologi, una volta terminata la facoltà si iscrivevano in una scuola. Ricordiamo a tale proposito, alcuni elementi sociali rilevanti:

  • Nel 1991 l’Economist classifica l’Italia come la quarta potenza economica mondiale, di lì a poco si entrerà in recessione ma siamo ancora lontani dalla crisi economica, i soldi circolano e si investe, anche sulla formazione.
  • Gli psicologi della prima ora, non conoscono la disoccupazione, chi entra nell’Ordine, che sia per “chiara fama”, che sia perché ha dimostrato “preminenza e continuità”… lavora… il tema della ricerca di lavoro, non affligge la categoria.
  • Che psicologo poteva avere in mente il Legislatore arrivando alla stesura del testo della 56/89, in pieno boom economico? Uno psicologo che si sarebbe formato in psicoterapia.

Le cose cambiano però rapidamente, a livello sociale, economico e anche nella categoria. Si moltiplicano le facoltà di psicologia, si moltiplicano le Scuole, ma al contempo la crisi economica incombe, circolano meno soldi in generale, il Sistema Sanitario viene via via smantellato ed è ben lungi dall’assumere un crescente numero di psicologi che vanno anzi diminuendo (ci sarebbe da aprire una parentesi sulla riforma del titolo V della Costituzione, ma porterebbe lontano…)

Dunque gli psicologi sono sempre di più e iniziano da una parte a non avere soldi a disposizione da investire nelle scuole e dall’altra a farsi largo lo spettro della disoccupazione, complici anche l’aumento della burocrazia e della tassazione (nel 1996 viene istituito l’ENPAP che impone ai liberi professionisti i pur bassi versamenti previdenziali, che fino a quel momento erano a totale discrezione del singolo, senza nessuna imposizione).

Siamo ancora lontani dalla presa di coscienza del tema centrale di questa narrazione, ma era necessario porne le basi… Negli anni successivi la psicologia si allarga sempre più: la psicologia del lavoro prende piede, la psicologia giuridica diviene sempre più a sé stante, la psicologia scolastica fatica ad affermarsi ma inizia a delinearsi come autonoma, la psicologia dello sport, la psicologia dell’emergenza, la psiconcologia… Gli psicologi che si fermano alla laurea crescono di numero.

Ed ecco che lentamente ci si comincia a chiedere sempre più concretamente: ma lo psicologo che può fare? Naturalmente il riferimento è allo psicologo clinico, perché chi opera in altri settori ha un ambito di intervento sufficientemente chiaro (pur a fronte di una serie di altri problemi). Ed ecco ci soccorre l’art.1, c’era sempre stato ma mai così in auge come è destinato a diventare negli ultimi anni.

Lo psicologo clinico può fare: diagnosi, sostegno, abilitazione, riabilitazione… anche altro ma fermiamoci a questo perché già su questo si aprono una serie di temi.

Veniamo dunque ai giorni nostri e ai temi scottanti 2022 in una situazione postpandemica e di guerra in cui la comunicazione su molti temi si è sempre più polarizzata:

  1. Il bonus psicologo è in realtà un bonus “psicoterapeuta” in quanto potranno iscriversi alle liste INPS solo gli psicoterapeuti… con una serie di potenziali problemi di cui parlo qui
  2. La borsa lavoro ENPAP parla di interventi di primo e secondo livello e apre agli psicologi la possibilità di intervento su disturbi di lieve entità, fatto questo che suscita sdegno in una serie di Direttori di Scuole di Specializzazione in Psicoterapia (per lo più psichiatri, che protestano con l’ENPAP, con il CNOP e come si può vedere qui, anche utilizzando la stampa.
  3. Il CNOP ha iniziato il processo di revisione del Codice Deontologico

Ed ecco che l’insieme di tutti questi eventi accende nella categoria la miccia della “guerra civile” tra psicologi e psicoterapeuti.

Gli uni sostengono che lo psicologo “cura e fa terapia” per voce soprattutto di Enrico Rizzo che amministra un ampio gruppo Facebook, mentre gli altri sostengono a gran voce: solo lo psicoterapeuta può svolgere psicoterapia e quindi curare e fare terapia e dunque intervenire sulle psicopatologie.

Proviamo dunque ad analizzare la vexata quaestio: il problema si pone su vari piani, uno è purtroppo quello economico, uno è di tipo politico professionale e l’ultimo infine lo definirei di tipo lessicale, ma anche sostanziale.

Sul piano economico il problema è che molti psicologi non possono pagarsi la Scuola di Specializzazione e al contempo non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro.

Sul piano politico professionale la questione riguarda preminentemente le eventuali modifiche al codice deontologico ed infine veniamo al piano più complesso, quello lessicale e sostanziale che va potenzialmente a minacciare gli interessi delle Scuole.

Per affrontare tale ultimo aspetto partirei proprio da questo articolo perché fa emergere un aspetto fondamentale: “Uno psicoterapeuta (dice lo psichiatra) sa che cosa può esserci dietro a un sintomo e conosce la diagnosi differenziale, chi non ha formazione, invece, non vede oltre il sintomo”

e ancora: “gli interventi “a bassa intensità”, se affidati a psicologi non specialisti, non possono essere definiti come “terapie”. La diagnosi e il trattamento dei pazienti con disturbi possono essere affidati solo a specialisti o almeno a specializzandi in supervisione.

Posto che sul tema della diagnosi presumibilmente si tratta solo di una ignoranza dello Psichiatra in questione rispetto a quanto viene insegnato nelle nostre università e richiesto all’esame di Stato, queste affermazioni aprono in realtà ad altri temi:

  1. Lo psicologo fa terapia? Se stiamo anche solo al significato etimologico del termine certamente il genere di sostegno che fa lo psicologo è terapia, potrebbe infatti sostenere qualcuno che tale sostegno non è terapeutico?

Su questo primo punto richiamo l’attenzione su quanto scritto da Giardina, ex Presidente CNOP che ci rassicura in merito e su questa interessante intervista su cosa può fare lo psicologo non psicoterapeuta fatta a Rolando Ciofi da Enrico Rizzo

  1. E se ammettiamo (non potendo fare altrimenti) che fa terapia, che genere di terapia fa? Terapia psicologica, certo non può essere chiamata psicoterapia perché l’esercizio della stessa è riservato dalla legge a chi ha svolto una scuola di specializzazione, ma pur sempre di terapia psicologica si tratta.
  1. E del resto… ci sono forse studi e ricerche che dimostrino un’efficacia maggiore di una psicoterapia di un qualsivoglia modello rispetto ad un intervento di sostegno fatto da uno psicologo che si è formato su una tematica specifica ma non ha frequentato una scuola di Psicoterapia?
  1. Quando parliamo di psicoterapia, di quale specializzazione in psicoterapia stiamo parlando? Un cognitivista e un sistemico hanno gli stessi risultati nel trattamento della patologia x? E un gestaltista? E un bioenergetico? E un ipnotista? E un funzionalista? E uno psicoanalista? E un conversazionalista? Questi modelli hanno tutti gli stessi strumenti? No. Tutti la stessa efficacia? Non lo sappiamo.

E non lo sappiamo per molte ragioni, una tra le tante il fatto che a “curare” non è il modello appreso in una qualsivoglia scuola di specializzazione, ma é piuttosto la relazione, che comprende certamente la padronanza di modelli e tecniche ma che va ben oltre le stesse.

Sarebbe allora forse più corretto parlare di psicoterapie al plurale e cominciare a dire che l’unico in grado di fare un percorso analitico è uno psicoanalista, specializzato in psicoanalisi e così fare per ogni specializzazione.

E lo psicologo? Lo psicologo utilizza tecniche che conosce, così come il codice deontologico gli impone che sia, per fare terapia psicologica.

E tali tecniche possono essere certo mutuate tra i vari modelli, perché da psicologa ho la possibilità e la libertà di imparare ad interpretare i sogni e utilizzare tale tecnica nei miei incontri di sostegno o terapia psicologica che dir si voglia, pur senza aver fatto una scuola di psicoterapia psicoanalitica, lo stesso dicasi per la “sedia bollente” pur senza la specializzazione in psicoterapia.

Dunque non ci sono differenze tra una terapia psicologica e una psicoterapia? Certo che ce ne sono, uno psicoterapeuta ha imparato in 4 anni tutto quanto c’è da sapere sul modello della Scuola che ha frequentato, dalla teoria della mente ad ogni genere di tecnica utilizzata, si è messo in gioco personalmente, ha fatto un considerevole lavoro di approfondimento che gli consente di trattare una molteplicità di situazioni e problematiche in modo competente e altamente specializzato.

E lo psicologo? Lo psicologo con ogni probabilità avrà scelto di formarsi in un particolare ambito, di approfondirlo magari molto, ma fatalmente avrà uno spettro di possibilità di intervento minore, ma non perché la legge glielo impone o perché non possa lavorare con la psicopatologia come qualcuno vuole sostenere (ricordo che siamo professionisti sanitari e che la legge non cita in nessun punto la psicopatologia) o ancora perché sarà in grado di lavorare solo sul sintomo… ma perché di fronte ad una serie di temi avrà le armi spuntate e sarà il primo in scienza e coscienza ad inviare a chi abbia strumenti più adeguati a tutelare la salute del paziente che sempre è l’obiettivo primario.

C’è poi una questione di confini, quale il confine tra il sostegno e la psicoterapia? Si tratta certamente di un confine molto labile almeno in ambito clinico, tuttavia credo che il confine sia dato primariamente da una questione etica e deontologica. Si da per scontato che lo psicologo sia ben cosciente di quali siano i propri “limiti”, rispetto ad una domanda di cura di una depressione, sarà in grado di sapere se attraverso le proprie competenze potrà fornire al paziente un sostegno terapeutico o se sia necessario inviarlo ad uno psicoterapeuta o ancora se sarà necessario lavorare in doppio setting. Non riconoscere allo psicologo tale capacità di comprensione dei propri limiti significa a mio avviso sminuire significativamente la professionalità acquisita in anni di studi universitari e di studi successivi che ognuno svolge magari al di fuori delle scuole di psicoterapia.

Livelli diversi dunque e diversi settori di intervento di cui pur tuttavia torno a ripetere, nessuno ha comparato l’efficacia sulla quale ad oggi non abbiamo dati.

Infine.. se ammettiamo che sia la specializzazione a fare il professionista mi chiedo… Ma ante legem… Prima del ‘93 quando le scuole hanno cominciato ad essere riconosciute e frequentate e a sfornare psicoterapeuti…

Quella prima mandata di psicologi cui accennavo prima.. Tutti cialtroni? Tutti non in grado di garantire interventi che tutelassero i pazienti? E tutte le schiere di docenti universitari che hanno formato la maggior parte di noi, che non hanno frequentato scuole ma le hanno fondate e hanno sfornato frotte di psicoterapeuti… Anche loro tutti cialtroni? E su che base ci hanno formato?

AP dice tramite la sua Presidente: bisogna schierarsi o con le lobby o con gli psicologi.

Ecco io ho una visione diversa (come spesso capita) io non credo che ci si debba “schierare”, non mi pare si farebbe un buon servizio ad alimentare l’ennesima guerra.

Tuttavia credo che il tempo sia maturo per affrontare al nostro interno e possibilmente insieme questi temi e per rivedere qualcosina.

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Categoria: Professione psicologo

Jessica Ciofi

Psicologa, Presidente di Professione & Solidarietà, dirigente del MO.P.I. Mi occupo di politica professionale con vari ruoli sin dal 1994 (ben prima della laurea) e di Ecm dal 2004 come consulente di vari provider.


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