Nei giorni passati, e comunque già da un po’ di tempo, si è tanto discusso sul ruolo dello psicologo. Cosa può fare e cosa non può fare. Il dibattito ha prodotto ovviamente delle polarizzazioni. A questo proposito vi proponiamo la trascrizione dell’intervista che Enrico Rizzo ha fatto a Rolando Ciofi nel 2018 sui confini tra il ruolo di semplice psicologo e lo psicoterapeuta. La speranza è che possa fare chiarezza sulle questioni più cogenti finora sollevate. Cliccando l’immagine qui sotto potrete visionare il video dal quale è stata estratta l’intervista.

Ciao Rolando, grazie per la tua disponibilità. Adesso andremo a trattare alcune questioni importanti relative al ruolo terapeutico dello psicologo in Italia. Prima di cominciare io vorrei però che ti presentassi e che ci dicessi chi sei e che cosa hai fatto nella tua vita.
Sono il segretario generale nonché fondatore del MOPI, che è un’associazione di categoria nata immediatamente dopo la legge 56/89. Da sempre mi occupo di psicologia giuridica, sono psicologo non psicoterapeuta e da sempre mi occupo di questioni che riguardano la politica professionale e di fornire ai colleghi tutta una serie di servizi utili per la loro professione.
Beh può fare tutto quello che l’articolo 1 della legge gli consente di fare, cioè sostegno, diagnosi, abilitazione, riabilitazione, intervento sui gruppi e in generale possiamo dire che è, soprattutto dopo la recente legge che lo include a pieno titolo nelle professioni sanitarie, è un professionista sanitario che opera nel campo della psicologia. Nell’ambito clinico ha come competenze centrali l’attenzione alle psicopatologie gravi o non gravi che siano.
Io farei una distinzione molto semplice tra normativa e deontologia. Da un punto di vista normativo lo psicologo è, come ti dicevo prima, un operatore sanitario di base nell’ambito della psicologia.
Di base, generico quando non è specialista e in quanto tale si può occupare di qualunque tipo di psicopatologia grave o non grave che sia. Naturalmente se ne occupa con i mezzi che ha a disposizione, con le competenze che ha a disposizione, con la sua formazione. Questo sul piano normativo.
Poi esiste per tutti noi una deontologia, un piano deontologico. Il piano deontologico impone a qualunque professionista di fare quello che sa fare, quello per cui si è formato. Di operare in scienza e coscienza, di non superare i propri limiti. Questo è il piano deontologico che si discute nel momento in cui sia necessario discuterlo. Quando sia successo qualcosa che porta davanti a una commissione deontologica, insomma.
Questi sono miti sostanzialmente. Ora esiste il fatto che per esempio chi amministra l’Emdr in italia decide, legittimamente, di formare solo psicoterapeuti e non psicologi generici. È una decisione autonoma che può prendere che c’è anche un senso in qualche modo perché magari vogliono che ci sia prima una preparazione di base. Nessuno vieta che se quella associazione prendesse decisioni diverse possa formare anche degli psicologi. Altro è quello che hai appreso e lo usi, se lo sai usare bene, se lo sai usare male, se fai dei danni, insomma sono questioni più collegate alla pratica operativa che non collegate alla normativa. Se io mi voglio formare in ipnosi mi formo in ipnosi se mi piace così, se però non faccio tutti e quattro anni previsti dalla legge la scuola dove mi formo non mi rilascerà titolo ovviamente. Dopodiché io di quello che avrò imparato ne farò l’uso che credo insomma.
Sappiamo bene che all’estero molte delle tecniche che utilizza in Italia lo psicologo vengono utilizzate anche da counselor e da altri professionisti che operano… (dagli assistenti sociali, da molte figure professionali).
Si è chiaro è un problema come dire, di normative diverse nelle varie nazioni, comunque sia nella nostra Italia c’è un po’ troppa paura da parte dello psicologo di fare quello che è, io lo definisco terapeuta di base. Poi su questa questione nominalistica, psicologo di base, insomma si rischia di confondersi per cui diciamo operatore sanitario generico in campo psicologico.
Ma certo, dipende dal dipende dal contesto nelle quali applichi naturalmente. Una cosa è il sostegno ad un gruppo aziendale, una cosa è il contesto clinico. Quindi dipende dal contesto dove le applichi, però si possono definire terapie e non psicoterapie perché c’è una questione nominalistica e formale. Lo psicoterapeuta ha un percorso quindi quel titolo va salvaguardato. Io non posso dichiararmi psicoterapeuta se non ho fatto quel percorso. Questo è chiaro insomma. Però sono ugualmente un terapeuta.
Qui io dividerei il discorso in due filoni. Il primo filone, che io ho avuto modo di verificare, (ho sentito anche l’intervista di Fulvio Giardina, ma poi mi sono confrontato altre volte con Federico Zanon, con con tutti quelli che in qualche modo orientano la politica della professione nel nostro mondo) è che su questi temi siamo tutti d’accordo, ho avuto modo di vederlo, ho scritto anche degli articoli in questo senso.
L’altro filone per cui non escono atti ufficiali formali, chiari etc etc…
Beh io credo che qui ci sia una questione di equilibri, che la questione sia più politico professionale che valoriale. Naturalmente nel nostro mondo la psicoterapia è l’unica specializzazione che ha un qualche valore ed è l’unica del campo clinico.
La metà dei colleghi sono psicoterapeuti. È un mondo dove ci sono le scuole di formazione in psicoterapia che sono 400 e danno lavoro a tante persone, orientano anche politicamente la comunità.
Quindi io credo che da parte di chi gestisce il potere istituzionale della categoria, io non sono tra questi notoriamente, ci siano, come dire, attenzioni, timori, prudenze, per mantenere equilibri e per tentare di non scontentare nessuno. Credo questo sia il motivo.
Ti dirò di più, qualche volta è anche successo che fossero richiamati dall’ordine però, come te sai, io seguo molti procedimenti disciplinari: in tutti quelli che ho seguito io per questi motivi le pratiche sono state poi archiviate. Non si è arrivati mai a nessuna condanna quando il collega era corretto, perché è chiaro, se sei scorretto e ti dichiari psicoterapeuta e non lo sei questo non lo puoi fare ed è sanzionabile ovviamente.
Quindi i colleghi hanno paura anche perché, lasciamelo dire, hanno poca formazione sul piano normativo e deontologico. Magari sono bravissimi come clinici però ne sanno poco in generale di leggi o deontologia. Questo compreso anche qualche consigliere dell’ordine.
Si, si. Assolutamente si.
Stiamo parlando ovviamente per legge, poi è ovvio che ogni psicologo sa fare delle cose e non sa farne altre.
Certo.
Un ultima domanda: i tuoi progetti futuri per lo psicologo, per la tutela dello psicologo. Cosa farai nei prossimi anni?
Io credo di avere fatto vent’anni fa per la comunità professionale un ottimo lavoro con le compagnie di assicurazioni. Come te sai, io sono referente di gruppi assicurativi molto importanti, per l’ambito della psicologia.
Vent’anni fa costruii la rete di psicoterapia e tuttora questa rete funziona ed è riservata a psicoterapeuti.
Oggi sto ampliando questo rapporto con le assicurazioni anche agli psicologi NON psicoterapeuti e introducendo il counseling psicologico in convenzione con le assicurazioni. È riservato a psicologi NON psicoterapeuti quindi mi sto muovendo in questo senso.
Più in generale io ho in mente un’idea di professione che è molto diversa da quella che porta avanti l’ordine, sia altra psicologia
sia all’Aupi.
Io ho in mente un’idea di professione come famiglia delle professioni di ambito psicologico che quindi comprende counselor, comprende mediatori familiari, comprende altre figure oltre a noi psicologi, dove lo psicologo, secondo me, dovrebbe essere la figura centrale. Quella che supervisiona, quella che in qualche modo orienta, quella che in qualche modo fornisce anche formazione.
Ok, permettimi un ultima domanda. Che consigli daresti ad uno psicologo che vorrebbe lavorare in ambito clinico sanitario, che vorrebbe fare terapia ma che non ha intenzione, per lo meno né adesso né in futuro di frequentare una scuola di specializzazione.
Il consiglio che gli darei è di specializzarsi molto autonomamente in un piccolo segmento, in una piccola nicchia che a lui potrebbe essere congeniale, che ne so, ma sono infinite, dall’alimentazione, alle liti familiari, a quant’altro, di specializzarsi in un piccolo segmento facendosi molta esperienza e poi stando attento ad operare in quel segmento senza superare i propri limiti che sono quelli che uno si sceglie in base alla formazione, gli interessi, le competenze che acquisisce.
Ok intervista è finita, sono emersi i temi che avrei voluto che tu facessi emergere. Di questo ti ringrazio tantissimo. Mi auguro ci possa essere un’altra intervista per dire altre cose.