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Home » Approfondimenti » Carta dei valori e revisione del codice deontologico: cronaca dell’incontro

Carta dei valori e revisione del codice deontologico: cronaca dell’incontro

01/07/2022 scritto da Jessica Ciofi

Il CNOP è alle prese con questi due grandi obiettivi da realizzare e ha deciso, a mio avviso giustamente, di coinvolgere il più possibile gli iscritti. 

A questo riguardo ha invitato tutti a rispondere ad un questionario sulla revisione del codice e organizzato questa bella iniziativa a Roma il 23 giugno che è possibile rivedere qui e che consiglio vivamente a chi non abbia avuto l’opportunità di partecipare in sede. 

Ho pensato di farne una (relativamente breve) cronaca di quanto io ne ho colto.

Personalmente devo dire che sono rimasta favorevolmente colpita da alcuni punti, il primo è il fatto che siano stati invitati a contribuire alcuni personaggi esterni alla professione: due filosofi, un avvocato costituzionalista, la Presidente del novello Ordine TSRM-PSTRP, il Presidente dell’Associazione tra gli Ordini delle Professioni Italiane. Mi soffermo su questo perché sono convinta che nel momento in cui si parla di valori e di costruzione dell’identità professionale, sia molto utile tenere conto dello sguardo di professioni “altre” che possono apportare ricchezza nelle riflessioni e condivido pienamente l’idea espressa dal Presidente che la carta dei valori debba essere aperta al confronto costruttivo con le altre professioni, sanitarie e non.

Andando in ordine mi hanno poi colpito alcuni concetti espressi dei vari relatori su cui credo valga la pena di soffermarsi, il primo lo ha espresso il nostro Presidente Lazzari: “…c’è un principio giuridico codificato dall’art.3 quater del Codice dell’Ambiente riguardante la nozione di sviluppo sostenibile: ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio di sviluppo sostenibile al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”. Qui il Presidente introduce il concetto di sviluppo psicologico sostenibile e parla della necessità del nostro contributo professionale alla definizione delle linee per la società post-pandemia. Credo che questo sia oltre che un buon proposito, anche un impegno che ci prendiamo nei confronti della società e che siamo chiamati in questo particolare momento storico a svolgere con particolare senso di responsabilità.

Il secondo punto che mi preme citare è nell’intervento di Alessandra Ruberto, coordinatrice della Commissione che si occupa della revisione del codice e della stesura della Carta dei valori, è il punto che coglie l’essenza di questa operazione, dice infatti Alessandra: “è il momento di rispolverare il discorso che riguarda la nostra identità professionale e interrogarci su chi siamo e in che direzione stiamo procedendo a partire dalla spina dorsale della professione che è il nostro codice deontologico”.  Molto bella anche l’immagine che il codice sia una figlia di una madre che si chiama Etica e un padre che si chiama Normativa che vivono all’interno della casa del paradigma scientifico e la gestione di questa figlia è complessa ed in continua evoluzione.

Il terzo punto lo mette in rilievo il Presidente Zambrano quando dice che come professionisti dobbiamo essere orgogliosi degli obblighi che abbiamo nei confronti di clienti e committenti e della società: formazione, assicurazione, preventivi, deontologia. Tutto questo è un valore non abbastanza sottolineato e di cui dobbiamo essere fieri. 

Ho poi apprezzato molto l’intervento di Teresa Calandra che mette in rilievo la necessità di mettere al centro dei valori la persona intesa non solo come paziente, ma anche lato operatori sanitari e poi la relazione e il tempo della relazione, la multiprofessionalità e l’equità, non solo quella di genere ma riferita a molti più ambiti e che sia interiorizzata e non solo scritta. Tutti temi importanti che fa piacere sentire come centrali anche per altre professioni oltre alla nostra. 

Tanti gli stimoli di Mancuso che ci rimanda ad una visione particolare della nostra professione. A partire dall’etimologia del termine psicologo e dalla traduzione che noi gli diamo tra i tanti con cui viene tradotto, quindi psiche come mente, ma anche psiche come anima, animo, spirito e dunque spiritualità, fino a dire che il compito della psicologia è di indicare il valore supremo nella cura della psiche intesa come entrambe le dimensioni della vita psichica ma anche spirituale, dove per spiritualità intende “quella cosa che prende sul serio il concetto di spirito che rimanda alla libertà che si articola in tre modi: consapevolezza, creatività e responsabilità”.  Alla psicologia spetterebbe dunque di essere in occidente detentrice del ruolo di cura animarum che per tanti secoli ha avuto la Chiesa. Perché, dice Mancuso, “la psicologia è la logica della psiche, non solo nelle sue irregolarità (psicopatologia) ma anche nelle sue regolarità, i valori, perché diversamente da psichiatri e psicoanalisti che si occupano solo di psicopatologia, lo psicologo è chiamato a ricoprire il ruolo di direzione spirituale perché è dotato di una visione globale della psiche, dei suoi limiti e delle sue potenzialità”.

Ma uno degli stimoli più interessanti è a mio avviso la citazione di Plotino: “Ogni anima è e diventa ciò che guarda”…”il valore è riconosciuto dallo sguardo, ognuno è ciò che guarda e tutto si gioca nell’inclinazione dello sguardo”, uno sguardo che verrà citato da più relatori, lo cita Balestrieri parlando di Adam Smith “nel nostro agire morale noi rivolgiamo la nostra attenzione allo sguardo degli altri” e poi Catello Parmentola quando dice: “Si impone allo psicologo un certo tipo di sguardo, uno sguardo collettivo, complesso, calibrato sulle soggettività. Lo sguardo dello psicologo contiene, comprende e tiene in conto lo sguardo dell’altro, assieme e accanto al proprio sguardo. Solo questo sguardo psicologico può descrivergli e calibrargli la responsabilità sociale ed ogni sua misura deontologica.

Dell’intervento ricco e interessante di Balestrieri voglio poi sottolineare l’idea che le regole contenute nei codici deontologici debbano essere in continuo divenire, debbano essere viste come processi piuttosto che come dati, come sottolinea Garau, moderatore di questa tavola rotonda ed è anche questo un concetto ripreso da vari relatori.

L’intervento di Elisabetta Camussi si è incentrato soprattutto sulle questioni di genere facendo la proposta, che condivido totalmente, di adottare la “certificazione della parità di genere” nell’Ordine. Fa emergere a questo proposito un dato preoccupante a partire da una ricerca e che vede il livello di sessismo tra gli psicologi uguale al livello di sessismo delle altre professioni… 

Dell’intervento di Elisabetta Giannini uno dei punti più interessanti trovo sia il fatto che le condotte che arrivano all’attenzione della commissione deontologica derivino soprattutto dall’ignoranza delle norme del Codice Deontologico da parte dei colleghi e ancor più dalla sua mancata interiorizzazione. (Pare che finalmente ci sia una presa di coscienza del fatto che sia necessario integrare l’insegnamento della deontologia nei corsi di laurea). 

La seconda parte dell’incontro, moderata da Marco Pingitore parte con l’intervento di Cristina Rinaldi del Ministero della Salute che si occupa di vigilanza sugli Ordini Professionali. 

Racconta che ricevono segnalazioni dai cittadini sugli abusi professionali e sull’operato degli Ordini rispetto alla segnalazione di tali abusi. Ma uno degli elementi centrali, pur noto, ma di cui a mio avviso troppo poco si parla nella comunità, sta nel fatto che diversamente da quanto accade nelle professioni sanitarie storiche che in caso di ricorso di provvedimenti deontologici possono rivolgersi alla Commissione delle Professioni Sanitarie, per lo psicologo il ricorso va proposto direttamente al Tribunale Ordinario. Anche lei sottolinea di come la revisione dei codici deontologici dovrebbe essere parte dell’attività ordinaria degli Ordini e non un intervento straordinario, proprio a tutela delle prestazioni nei confronti del cittadino. L’auspicio della dottoressa Rinaldi è che ci sia un’attenzione particolare in questo lavoro rispetto all’essere diventata professione sanitaria nonché la capacità di collegamento rispetto alle altre professioni sanitarie. 

Il secondo intervento è di Celotto che insegna Diritto Costituzionale e che esordisce con: “ubi societas sibi ius”, concetto centrale del diritto, per poi fare il punto sul fatto che scrivere le regole è una tutela per tutti, per i professionisti in primis. 

Catello Parmentola, che, come dice Pingitore, non ha bisogno di presentazioni, inizia il suo intervento parlando dei tre vertici della deontologia: Etico, Scientifico e Sociale e definendo la misura deontologica come il punto di equilibrio tra questi vertici. 

Parla poi di come nella fase fondativa della professione il codice abbia contribuito all’identificazione professionale. Parla del vertice etico dicendo che quasi sempre le misure deontologiche sono legate ad uno scorretto incrocio tra funzioni professionali e funzioni umane e introducendo le funzioni umane introduciamo il soggetto psicologo che accede per la prima volta all’epistemologia. Il vertice etico deve inquadrarsi nel perimetro del vertice scientifico grazie al quale lo psicologo è tenuto stabilmente in un discorso di competenze. Questi vertici devono dirsi col vertice sociale, le norme dello Stato, i contesti. 

Gli anni in cui il codice nasce, per la prima volta lo psicologo inizia ad interfacciarsi con le Leggi, i contesti, le dialettiche interprofessionali, accedendo alla cultura istituzionale.

Lo psicologo, a partire dall’introduzione del codice diviene una figura molto più “adulta”. 

La regola deontologica deve poi essere applicata e lo psicologo è indispensabile alla regola non meno di quanto la regola sia indispensabile allo psicologo che avendo il polso della situazione in cui sta, può avere la misura dei bilanciamenti migliori nell’attuazione della regola. Questo implica che non deve solo conoscere la regola, ma anche avere strutture e strumenti, un pensare deontologico che consenta di applicare la regola correttamente. 

Riguardo l’attuale revisione, nei decenni ha colto tre criticità che hanno fatto scaturire tre raccomandazioni: la prima è revisionare sempre nel rispetto dell’art. 41, le revisioni vanno svolte nelle sedi competenti. La seconda è di confrontarsi sempre con l’articolato giuridico-formale anche se si tratta di un lavoro lungo e difficile. La terza è di non utilizzare mai i temi deontologici a fini politici, perché sono in gioco obblighi normativi e proporre idee disancorate espone i colleghi a gravi rischi.

Sull’attuale revisione: l’art. 8 dice tutte cose buone ma tutte intangibili, è sfumato e nascosto l’oggetto, non assoggettato alla nostra disciplina l’abusante, complicati gli accertamenti e lunghi gli esiti giudiziari. 

Intangibilità che riguarda anche l’art. 17 tale da risultare inutile, andrebbe trovato il modo di dire qualcosa a chi è in vita, come nominare un custode per la propria documentazione. 

L’art. 21 non ha funzionato bene e ha disperso la materia. Le cose vanno dette in modo diverso. La prima è che l’insegnamento di conoscenze psicologiche a soggetti estranei alla professione è meritorio. La seconda è che l’insegnamento di tecniche e strumenti è invece una violazione grave, la terza è che farlo per precostituire finalisticamente le precondizioni per l’esercizio abusivo è una violazione gravissima. 

Riguardo il 24 ed il 31: “bisogna dire che dal 2017 abbiamo una bella legge sul consenso informato, perché la legge parla di consenso informato riferito alle prestazioni sanitarie,  mentre noi lo abbiamo ancora generale, dice che i modi di acquisizione devono essere più consoni alle condizioni del paziente (mentre noi le abbiamo più consone all’ansia dello psicologo), dice che i modi di acquisizione possono essere in forma scritta, ma ove non possibile anche attraverso videoregistrazioni. Per cui se noi anche assumessimo solo la legge per come è sarebbe un grimaldello che consente di aprire molti discorsi, perché anche solo parlare delle sole prestazioni sanitarie, significa che tutto ciò che è ad un diverso livello di sanitarietà potrebbe essere riconsiderato in certi aspetti, linee guida per l’applicazione di questo articolo pensiamo al contesto scolastico, ma se non utilizziamo questo grimaldello tanti discorsi rimangono chiusi”. 

L’ultima battuta è che la saggezza deontologica non è una saggezza ideologica, non prescrive mitezza e compostezza, i clichè ideologici non devono mai fregarci le nostre passioni ed i nostri soggettivi estri.

Pietro Stampa si focalizza poi sul fatto che le regole sono scritte dalle maggioranze e se sono scritte male creano equivoci e a suo avviso il Codice deontologico è zeppo di silenzi e ambiguità come nell’art.28 quando si parla di persone significative o nell’art. 31 quando si dice “generalmente”. Poi nell’art.12 c’è un errore, perché se me lo ordina il giudice devo testimoniare anche se non ho il consenso. Quindi ritiene che l’unico modo per cui la nostra comunità professionale possa arrivare a condividere principi valoriali sia quello di domandare quali siano i problemi che ci si trova ad avere nella propria pratica professionale, come hanno fatto gli americani il cui codice deontologico è diviso in “principi etici” e “codice di condotta” che sono cose diverse. Mentre nel nostro codice si mescolano continuamente e uno non capisce se può fare o meno una cosa.  Propone di pensare ad un lavoro parallelo, da una parte revisionare il codice attuale togliendo i “generalmente”, “significativamente” che creano confusione e intanto iniziare a ripensare completamente al codice che distingua i principi dalle regole e appoggi le regole sulle normative in modo esplicito. 

Giorgia Zara parte dal sottolineare tre principi: Dover essere ossia la deontologia; sapere, sapere come, saper essere ossia la formazione, le competenze e le conoscenze; saper diventare ossia la responsabilità professionale. 

Pone poi al centro la ricerca scientifica che sta alla conoscenza come la responsabilità professionale sta alla deontologia. 

Altro aspetto è pensare al nostro codice nei termini di un “saper diventare” psicologhe e psicologi, saper unire il sapere, il dovere, il saper fare, all’interno di una identità professionale che ci caratterizza. 

Complessivamente trovo sia stata una bella occasione di confronto, con interventi significativi che sono stati per me una fonte di arricchimento. 

L’unica proposta che non ho particolarmente apprezzato è quella di Pietro Stampa di revisionare il codice sulla base del modello dell’APA con una divisione tra Principi e Regole di comportamento, trovo che rispecchi una visione dicotomica dell’essere umano che ben si adatta probabilmente alla cultura americana che tende a scotomizzare vari aspetti per renderli chiari e trasparenti, principio che apprezzo in sé ma che trovo che abbia insito il rischio di una perdita della visione d’insieme e di quanto i principi valoriali siano strettamente correlati ed inscindibili dalle regole di comportamento offrendo a queste ultime una cornice di senso che potrebbe altrimenti diluirsi. 

A parte questo, personalmente ho tratto alcune parole chiave: identità, sguardo, interiorizzazione delle norme e visione di un continuo divenire delle stesse, confronto, etica, responsabilità. 

Sono parole che mi risuonano e mi fanno pensare che almeno a livello teorico ci sia un ottimo humus, naturalmente calare tutto questo nella realtà e trovare i modi per reificarle comporta una grande fatica come ha sottolineato Catello Parmentola, ma una fatica verso una direzione che personalmente condivido. 

Categoria: Notizie dal CNOP

Jessica Ciofi

Psicologa, Presidente di Professione & Solidarietà, dirigente del MO.P.I. Mi occupo di politica professionale con vari ruoli sin dal 1994 (ben prima della laurea) e di Ecm dal 2004 come consulente di vari provider.


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