Da giorni ormai circola un manifesto a firma di alcune Associazioni che rappresentano varie scuole di Psicoterapia, cui sarebbero seguite esplicite richieste al CNOP di modifica del codice deontologico in una direzione che vada incontro ai loro desideri.
Posto che non tutte le Scuole condividono i contenuti di tale manifesto né tutti i colleghi psicoterapeuti, ciò che vorrei dire in proposito è che “desiderare” è legittimo.
Di più, sappiamo bene per mestiere, di quanto i nostri desideri guidino spesso le nostre azioni.
Allora credo che noi psicologi dovremmo calarci nei panni di un capo scuola o di chi le Scuole le rappresenta.
Aver creato un modello di psicoterapia di sana pianta o essersi impegnati tutta la vita per portare avanti il modello in cui noi stessi ci siamo formati e abbiamo continuato a farlo e a diffondere tale sapere, facendone talvolta addirittura una missione, presuppone ovviamente il desiderio di avere molti allievi, molti che abbiano voglia di approfondire le stesse cose che noi crediamo essere “verità”, che abbiano voglia di condividerle a loro volta e di continuare a portarle avanti.
Senza dunque neanche toccare la questione economica (perché è chiaro che c’è anche una questione economica, e non perché i capi scuola si arricchiscano, ma perchè bene o male gestire una Scuola procura un reddito, come lo procura l’essere docente nelle Scuole) è più che comprensibile che per chi ha scelto di aprire una Scuola di Psicoterapia vi sia il desiderio di avere degli allievi, quanti più allievi possibile.
Così come è chiaro che se ci fosse il modo di obbligare una intera platea di circa 60.000 psicologi che aumentano al ritmo di 5000 ogni anno ad iscriversi ad una Scuola di Psicoterapia, io, singolo capo scuola, avrei molte più possibilità di appagare il mio desiderio.
Tuttavia la strada intrapresa, sebbene possa sembrare la più diretta per tale appagamento, risulta anche la meno adatta allo scopo.
Anche nella improbabile ipotesi in cui il CNOP decidesse di assecondarlo, si verrebbe a creare una spaccatura nella categoria e probabili contenziosi, commetterebbe infatti un vero e proprio abuso di potere… solo il legislatore ha titolo per operare una così significativa modifica per la professione cambiandone totalmente l’assetto.
Ma oltre a tale aspetto niente affatto secondario, la posizione assunta rischia di essere un vero e proprio boomerang, gli psicologi infatti, primi destinatari della formazione e unici a poter esaudire il desiderio trasformandosi in allievi entusiasti, difficilmente gradiscono di sentirsi dire che non devono azzardarsi a vedere un paziente fino a quando non saranno specializzati e nemmeno a fare un corso di formazione per psicoteraputi pena l’apertura di un procedimento deontologico.
Svalutare i possibili allievi, obbligarli, metterli sotto scacco, non è un incentivo ad iscriversi ad una Scuola o ad un’altra che verrà probabilmente percepita come autoritaria, non già come autorevole.
Scendendo poi sulla questione più concreta della formazione, le Associazioni firmatarie del manifesto dicono sostanzialmente che solo attraverso la formazione ricevuta durante la specializzazione si acquisiscono le competenze necessarie a trattare la psicopatologia.
Il che ha, tra le tante ricadute automatiche, il fatto che qualunque altro percorso formativo, per esempio i master universitari, come quelli sui DCA o sui DSA li consideriamo privi di utilità o li riserviamo ai soli psicoterapeuti (teniamo conto che attualmente sono aperti anche a filosofi e sociologi, l’orientamento universitario non pare dunque andare in questa direzione).
Ma andando più a fondo a vedere da cosa sia composta tale fondamentale formazione, troviamo cose meravigliose, ma altre meno.
Il regolamento prevede 2000 ore di formazione ripartite in 4 anni di cui tra 400 e 600 devono essere di tirocinio.
Partiamo da questo: ottimo il tirocinio, le cui finalità sono qui ben esplicitate, salvo qualche postilla, la prima è che non ci sono posti a sufficienza per coprire il numero di specializzandi che hanno bisogno di completarlo entro l’anno (non è possibile passare all’anno successivo di corso senza aver completato il tirocinio), la seconda è che spesso la Scuola fornisce solo un elenco di strutture convenzionate lasciando gli allievi soli davanti ad una serie di porte chiuse… non voglio ovviamente generalizzare, ma questa è l’esperienza di molti colleghi, da sud a nord, trasversale alle scuole e ai loro orientamenti. La terza è che ancora troppe esperienze di tirocinio si risolvono nello scrivere articoli per docenti che li firmeranno senza neanche mettere il nome del tirocinante come secondo nome, nel fare fotocopie e portare il caffè, nel preparare centinaia di slide per corsi che terrà qualcun altro, nell’inserire le risposte dell’MMPI nell’apposito software senza neppure avere il beneficio di poter discutere il profilo che ne viene fuori…. Siamo lontano dalle finalità ufficialmente richieste dal Ministero.
Certo questa situazione non è solo responsabilità delle Scuole anche se… Le Associazioni che le rappresentano, penso che farebbero un miglior servizio alle Scuole stesse e a tutti noi se provassero a sbloccare questa incresciosa faccenda, come?
Ci sono molte strutture sul territorio che avrebbero i requisiti per accogliere tirocinanti in psicoterapia, penso anche solo a tutte le RSA, si tratterebbe solo di censirle, contattarle, far stipulare convenzioni, un lavoro improbo per una sola Scuola ma fattibile per una Associazione che convogli le forze di molte Scuole (iniziativa peraltro che con ogni probabilità riceverebbe il plauso ministeriale dato che in sede di attivazione del sistema GISSP ha dato priorità proprio a tale procedura), e ancora si tratterebbe di concordare percorsi standardizzati che permettano di far fare dei veri tirocini formativi concordati tra le Scuole e le strutture e non lasciati alla sola responsabilità dei tutor.
Si tratterebbe poi di assicurarsi che in tutte le strutture statali ove possibile sia obbligatorio che i tirocinanti vengano accettati (senza chiedere compensi per questo… sì abbiamo assistito anche a questo), denunciando eventuali inadempienze.
Inoltre servirebbero norme che consentono in condizioni particolari di svolgere tirocini a distanza senza perdere l’anno (penso a colleghi e colleghe con disabilità di qualche genere, comprese quelle sensoriali che vedono ridotte talvolta la propria possibilità di espletamento del tirocinio, modalità prevista peraltro dallo stesso Ministero in fase di pandemia).
Veniamo poi all’Ordinamento Didattico (originariamente stilato nel 1998) che prevede un minimo di 350 ore annue (oltre al tirocinio) di cui circa il 10% sono obbligatoriamente da destinarsi a materie che abbiamo studiato e ristudiato:
Regola 3.1.1 – Insegnamenti teorici obbligatori nei 4 anni:
a) psicologia generale – tipo A.1;
b) psicologia dello sviluppo – tipo A.2;
Ma davvero si crede che ripetere quanto abbiamo già studiato all’università e ripreso in fase di Esame di Stato aggiunga qualcosa alla nostra formazione?
3.4. Analisi/Psicoterapia personale
Raccomandazione 3.4.C – Ore adeguate all’Analisi/Psicoterapia personale Si raccomanda che il numero di ore inserite nell’OD sia adeguato rispetto al raggiungimento degli obiettivi didattico-formativi della Scuola nell’ambito della formazione pratica e non superiore alle 50 ore all’anno.
Per quale ragione se il modello prevede la partecipazione a gruppi (altamente formativa) non si possono prevedere più di 50 ore l’anno?
Forse ci si potrebbe dedicare con migliori risultati a modificare tali aspetti.
Un’ultima questione infine, ultima, ma a mio avviso tra le più rilevanti, riguarda gli aspetti economici.
Sebbene molti psicologi decidano di formarsi attraverso percorsi diversi dalla Scuola di Psicoterapia perché hanno interessi variegati che vengono meglio soddisfatti da tali percorsi o desiderano specializzarsi in un particolare settore (i DSA, l’invecchiamento, la psicologia perinatale…), per il quale sentono la specializzazione in un modello di psicoterapia come eccessivamente monolitico o come non sufficientemente specifico per l’ambito in cui intendono operare, ce ne sono molti altri che non si iscrivono ad una Scuola per una stringente questione economica.
La retta delle Scuole è elevata e in una situazione economica generale come quella attuale molti colleghi, pur mettendo in conto una serie di sacrifici, non possono comunque permettersela.
D’altro canto i costi di mantenimento di una Scuola di Psicoterapia sono elevati: un minimo di 350 ore l’anno di retribuzione ai docenti, l’affitto di sedi che rispettino le norme di legge, la segreteria… solo per citare voci macroscopiche, ma ce ne sono molte altre, il che rende difficile abbassare le rette.
Anche in questo caso però, a mio avviso, le Associazioni che rappresentano le Scuole, potrebbero fare molto: in Toscana per molti anni l’ultimo anno di Scuola di Psicoterapia si poteva finanziare attraverso voucher regionali… l’interlocuzione con la politica è senza dubbio parte della mission di una Associazione che intenda rappresentare gli interessi delle Scuole.
Ma anche la ricerca di fondi pubblici più in generale: Statali, Ministeriali, Europei e di misure create ad hoc.
Per concludere dunque, a mio avviso, sarebbe necessario un cambiamento paradigmatico che consenta di uscire dal dualismo che porta a schierarsi con gli “psicologi non psicoterapeuti” oppure con le Scuole di Psicoterapia.
La nostra comunità e con tale termine intendo tutti noi iscritti all’Ordine degli Psicologi, perché prima di tutto siamo Psicologi, tutti, ha tutto l’interesse a che le Scuole di Psicoterapia continuino a formare psicoterapeuti nelle migliori condizioni possibili e tali condizioni ad oggi potrebbero essere molto migliorate.
Per farlo non è necessario squalificare né declassare percorsi di formazione diversi ma altrettanto professionalizzanti né tentare improbabili modifiche normative passando attraverso modifiche al codice deontologico.
Potremmo invece lavorare in una direzione comune e costruttiva che consenta di rimuovere gli ostacoli che oggi trovano gli psicologi che vogliano specializzarsi attraverso la frequenza di una Scuola e al contempo rispettare coloro che scelgono percorsi diversi, ben consapevoli di quanto indicato nell’art. 5 del Codice Deontologico:
“Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali opera. La violazione dell’obbligo di formazione continua, determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconosce i limiti della propria competenza e usa, pertanto solo strumenti teorico – pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate”.
Credo che questo permetterebbe di appagare più di un desiderio, quello di chi faticosamente gestisce una Scuola e porta avanti un certo modello, quello dei colleghi che vogliano formarsi nelle Scuole, ma che allo stato attuale trovano ostacoli talvolta insormontabili, quello della Comunità Professionale che potrebbe trovare coesione e compattezza ove ora ci sono conflitti e frammentazione.