Ebbene finalmente le nuove modalità di autoformazione annunciate dal CNOP sono realtà. E’ ora possibile inserire come autoformazione l’analisi personale e la supervisione e l’intervisione e i corsi seguiti per puro interesse personale anche se non accreditati.
Bene, anzi benissimo. Non che su un piano pratico cambi nulla, l’autoformazione dichiarabile rimane il 20% dell’obbligo (30 crediti al massimo in normale triennio e 24 in questo triennio per effetto dell’abbassamento dovuto all’inserimento del dossier formativo di gruppo inserito dal CNOP). Tuttavia sul piano del principio è sacrosanto, investiamo fior di quattrini in queste attività e impegno ed energie da tutti i punti di vista, che almeno ci venga riconosciuto in qualche forma…
Certo nella stessa forma in cui ci viene riconosciuta la formazione attraverso la lettura di libri che non ha esattamente lo stesso impatto dell’analisi o della supervisione ma… meglio di niente.
Gioisco dunque di tale risultato di principio, perché i principi sono importanti al di là del loro impatto sulla realtà.
Tuttavia, sempre per questione di principio, ammetto che una cosa dell’intera operazione mi lascia l’amaro in bocca.
A fianco infatti di tali attività assolutamente riconoscibili da tutti noi come estremamente formative, troviamo: Attività auto-organizzata da professionisti psicologi/psicoterapeuti e non riconducibile a forme di supervisione rientranti nella formazione sul campo (accreditate ECM).
Ecco tale dizione mi lascia più che perplessa. Non so quale sia la ratio utilizzata dal Cnop o quale genere di attività intendesse normare, ma la prima cosa che mi viene in mente è che per come è scritta potrei far rientrare in questa forma qualunque incontro con qualunque tema, un bell’aperitivo in cui si chiacchiera amabilmente di questo e quello, se organizzato da colleghi può rientrare a mio avviso senza problemi in questo genere di attività.
Ora, senza nulla togliere agli aperitivi, che personalmente apprezzo e cui riconosco un valore, metterli alla stregua della supervisione… Ecco, francamente lo trovo svilente.
Pur comprendendo la logica del facilitare la vita ai colleghi, che per certi versi non posso che apprezzare, personalmente avrei preferito non trovare tale possibilità.
Perchè il tempo che impiego ad autocertificare di aver letto un libro o di aver svolto una analisi o di aver fatto un aperitivo è esattamente lo stesso, non sono facilitata nel dichiarare una cosa o l’altra, ma sul piano valoriale chiedere come categoria che il valore di una o dell’altra attività abbia lo stesso impatto sulla mia formazione francamente mi intristisce.
E se le altre attività sono per noi specifiche e davvero di valore, quest’ultima potrebbe pur essere valida per ogni altra professione, anche per i medici ei farmacisti e gli infermieri chiacchierare tra loro è utile, ma i loro ordini non hanno richiesto che questa attività venisse loro riconosciuta allora mi chiedo, quanto crediamo noi psicologi nella formazione? Che valore diamo alle nostre attività? Non siamo forse anche il frutto di quello in cui crediamo, del peso che diamo alle parole, di come ci poniamo anche nei riguardi delle altre professioni?
Devo dire mio malgrado che in questa ultima possibilità di autoformazione non mi riconosco e me ne spiace.
Il nostro margine di manovra all’interno del complesso sistema ecm, di cui siamo solo uno dei tanti ingranaggi è minimo e utilizzarlo per dare questo tipo di immagine lo trovo francamente un peccato.
Poi non è certo questo il problema del sistema ecm che ha ben altri temi da affrontare, ma lavorandoci dentro da tanti anni… mi permetto di dissentire.