La società in cui viviamo ci propone un modello sociale e di comportamento basato sull’oggettificazione delle relazioni e delle persone. Sosteniamo una cultura basata sullo sfruttamento di chi sta sotto, e viviamo in un mondo in cui inquinare la terra, l’ambiente, l’acqua, invece che essere qualcosa di assurdo e diabolico è diventato indice di progresso. Siamo la società dell’apparire, dell’ultimo modello di un qualche dispositivo, del successo personale, delle conoscenze che contano, dello status, in cui il denaro, come dice Umberto Galimberti, è diventato il generatore simbolico di tutti i valori.
Abbiamo perso il contatto con il nostro essere, con il nostro corpo, con i nostri sentimenti, con il senso e l’essenza della nostra stessa esistenza.
Il narcisismo è diventata una tra le malattie più diffuse della nostra epoca sia a livello individuale che collettivo.
I social pullulano poi di gruppi in cui si danno “istruzioni per l’uso dei narcisisti che ci circondano” e su come “togliersi di torno” queste persone che sono incentrate esclusivamente su di sé. Ma noi viviamo in una cultura narcisista, in cui è tutto il sistema stesso che propaganda continuamente l’importanza di essere persone di successo, di essere sicuri, di non “chiedere mai”, di avere sempre il controllo della situazione. Si dice che il pesce non sa dell’acqua in cui nuota, per intendere che siamo talmente immersi in questo contesto da averne oramai perso di vista i contorni.
Abbiamo abitudini disfunzionali, non sane, che ci fanno del male, che ci soffocano, ma ogni mattina, pur sapendolo o intuendolo, stringiamo i denti e andiamo avanti, perché cambiare costa fatica e sangue, e poi ci ritroviamo un giorno a vivere una vita diversa da quella che avremmo voluto. Ci mimetizziamo e per il nostro ego sopprimiamo queste parti più vitali.
Il mondo di oggi è sempre più basato sull’egoismo e sull’egocentrismo, siamo sempre più concentrati solo su noi stessi, come se gli altri non esistessero, abbiamo perso il rispetto e l’attenzione per gli altri. Abbiamo fretta, dobbiamo sempre correre da qualche parte, lo vediamo anche in strada, fermarsi per lasciare passare una mamma con i bimbi, o un anziano che procede con passo lento, è un fastidio. Non credo di essere cinica se oso dire che gli altri sono diventati in qualche modo un ostacolo da superare.
Riportando l’affermazione di una nota sociologa, la dottoressa Scarlato, “oggi siamo diventati individui arrivisti ed arroganti, che hanno confuso il dovere con il potere, siamo diventati una società dove non c’è posto per l’umiltà, la solidarietà e l’empatia”.
Le realtà ci rimanda che siamo sempre meno in una relazione di cuore con gli altri, concentrati come siamo su noi stessi e sui nostri obiettivi, e non c’è più tanto posto e spazio per le cose semplici, per un gesto di tenerezza o di solidarietà, perché abbiamo un bisogno incessante di iper stimolazione. Siamo diventati come nei saloni di automobili in autunno, dobbiamo fare produzione, perché entro dicembre dobbiamo raggiungere il budget.
Televisione, riviste, tutta la pubblicità ci propongono incessantemente cosa desiderare, e desideriamo cose o status symbol che, verosimilmente, senza tanto bombardamento mediatico, forse non desidereremmo nemmeno. Siamo diventati dipendenti dal consumo perché è la società stessa che ce lo induce, proponendoci modelli culturali ed educativi che di culturale ed educativo non hanno molto, ma è come se avessimo perso la nostra capacità di pensare autonomamente e di autodeterminarci, a favore di un processo di omologazione, perché l’importante non è più distinguerci come esseri unici e irripetibili, ma standardizzarci agli schemi comuni.
È questa la società liquida di Zygmunt Bauman, una società che vive per il consumo, che mercifica i rapporti umani, i cui individui inseguono affannosamente e bulimicamente il possesso di un nuovo oggetto del desiderio. Questo schema culturale imperante allontana sempre più dalla naturalità, dalla semplicità, dalla nostra biologia, da quello che il grande Battiato chiamava il centro di gravità permanente, e rinforziamo così in noi un atteggiamento narcisistico che non vede oltre il nostro stesso naso, e perdiamo così l’occasione di vivere una vita piena e soddisfacente.
Complice la tecnologia, siamo sempre più lontani gli uni dagli altri, e la recente pandemia ha certamente portato all’eccesso il processo di informatizzazione e virtualizzazione.
Ho letto di diversi studi condotti da ricercatori di tutto rispetto che evidenziano una correlazione tra utilizzo dei social media e lo sviluppo di tratti narcisistici di personalità.
La dottoressa Konrath della Michigan University e il suo team di ricercatori hanno svolto una ricerca su 1200 partecipanti adulti utilizzando scale psicometriche per valutare il grado di narcisismo, empatia, intelligenza emotiva e riconoscimento delle emozioni. Questi studi hanno mostrato che coloro che passavano più tempo sui social erano meno premurosi e compassionevoli, mentre coloro che erano più empatici e più propensi a mettersi nei panni di un altro non passavano tanto tempo sui social. Da questo viene da chiedersi se esiste una relazione inversa fra l’uso frequente dei social media e la nostra capacità di entrare in empatia.
Altre ricerche presentate hanno scoperto che i pre-adolescenti sono diventati più bravi a leggere i segnali non verbali dei loro coetanei dopo cinque giorni senza cellulare, ed i partecipanti all’università si sono sentiti maggiormente connessi con i loro amici durante le interazioni faccia a faccia rispetto alle video-audio Chat o la messaggistica istantanea.
Il dato a mio avviso più preoccupante riguarda proprio i giovani, che sempre più vivono relazioni virtuali. Fino a non molti anni fa sentivo i genitori mettere un limite alle ore che i loro figli passavano davanti ad uno schermo, fosse questo la tele, il computer, la playstation, mentre li sentivo dire: nono, troppo piccolo per il telefonino. E poi è arrivata la didattica a distanza, e siamo stati noi adulti a spingerli a disconnettersi dal reale, favorendo il fenomeno della dipendenza da internet e del ritiro sociale.
Avrete notato anche voi che oggi esiste la possibilità di ascoltare un messaggio telefonico vocale ad una maggiore velocità, a 1,5, o 2, o 3 volte la velocità in cui è stato registrato… ed è una funzione che i giovani usano spessissimo… personalmente lo trovo aberrante. I messaggi vocali obbligano l’altro ad ascoltarci stando in silenzio, obbligano l’altro a riflettere sul tono di voce di chi lo invia, sulle parole usate, la prosodia, ciò che passa al di là della semplice sequenza delle parole. Se è vero che i messaggi telefonici, vocali e non, sono diventati il nostro modo principale di comunicare, e se è vero che comunichiamo sempre meno, ascoltarci a ritmo accelerato è sicuramente il peggiore. Non è più comunicare ma scambiarci informazioni, e farlo nel modo più veloce ed efficiente possibile.
Stiamo sempre più diventando degli analfabeti relazionali ed emotivi, incapaci di comunicare se non da dietro ad uno schermo, dovremmo ricominciare ad ascoltarci guardandoci negli occhi.
Scrive Galimberti: Se la scuola non è sempre all’altezza dell’educazione emotiva, che prevede, oltre a una maturazione intellettuale, anche una maturazione psicologica, l’ultima chance potrebbe offrirla la società se i suoi valori non fossero solo business, successo, denaro, immagine, ma anche qualche straccio di solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco, che possano temperare il carattere asociale che, nella nostra cultura, caratterizza sempre di più il mondo giovanile.
Cercando in internet su questi temi, mi sono imbattuta in una conferenza di Federico Faggin, il fisico che ha creato i primi microprocessori e le cui idee hanno fatto storia.
In un interessantissimo video, lui, un fisico, dice che:
“oggi si è sempre più ridotta la capacità di pensiero, lo si vede anche da come scriviamo, fatto sempre più di messaggi brevi, dove tutto deve essere a piccoli pezzettini, sound bites come sono definiti, ma il cervello se non lo si usa si atrofizza, come avviene per i muscoli. Questo porta alla reificazione sempre più banale dei significati: una cosa è scrivere una parola, ben altro è pronunciarla, perché si riempie dell’intonazione, del come noi la diciamo. Ancora di più se è una frase, perché si arricchisce dei contesti. Questo impoverimento del linguaggio fa si che rimane solo il significato della parola stessa. In una società che sempre più tende alla monetizzazione dell’individuo, questo atteggiamento è insidioso perché ci porta ad uscire da noi, ad alienarci, e perdiamo l’essenza di chi siamo. Non c’è più un mondo interiore da esplorare, abbiamo distratto l’attenzione da noi al mondo, complice di questo anche la perdita della dimensione spirituale. Vivendo fuori di noi, viviamo una vita virtuale svuotata di significato. Anche nel passato non è che ci fosse poi così tanto esercizio di vivere nel presente, ma adesso si viene condizionati fin da quando si è giovani a perdere questa connessione, al punto da perdere la stessa nozione che questo sia possibile. Almeno le religioni ci portavano a interrogarci sul mondo interiore, sulla coscienza, il significato di anima, il senso di un agire più o meno buono.
Consapevolezza, Tecnologia e Futuro https://www.youtube.com/watch?v=Eeg7QWMBYcg
Facciamo parte di un tutto tanto più grande di noi, di entità tanto più vaste di noi, che al momento non conosciamo ma che hanno un impatto su di noi come noi abbiamo un impatto su quanto è ad un livello inferiore al nostro. C’è un’influenza dall’alto al basso che non vogliamo riconoscere perché altrimenti “puzzerebbe di Dio”.
Incredibile sentire un fisico parlare di dimensioni sottili, impercettibili, di anima, di coscienza, di mondo interiore, di religione, di spiritualità, di consapevolezza.
“La vita è un computer quantico di natura ancora sconosciuta, che ha un dinamismo che parte dalla natura quantica della materia. L’informazione viva non è avulsa dal significato che porta l’informazione all’interno del sistema, sistema che ha due facce: una faccia interna dove c’è significato, che dà significato alle cose, e una parte esterna che è una parte simbolica viva che comunica con l’ambiente. Dentro di noi c’è significato, fuori di noi ci sono simboli.
La consapevolezza, una chiacchierata con F. Faggin, https://www.youtube.com/watch?v=J_JyvDWpfEo
Dentro al computer non c‘è niente, ci sono solo simboli, solo segnali che si muovono, simboli astratti che vengono convertiti in altri stimoli astratti. La consapevolezza è quella capacità di conoscere, di capire il significato dell’informazione viva, che secondo me è irriducibile dal suo significato. Non possiamo parlare di consapevolezza se non abbiamo comprensione. Non possiamo spiegare come arriva la consapevolezza se non che è una proprietà irriducibile di tutto ciò che esiste. Non si può spiegare come emerga la consapevolezza da puri simboli astratti, perché un simbolo astratto crea un altro simbolo astratto.
La fisica è fatta di informazione astratta: descrive un mondo senza significato, i fisici più avanzati hanno scoperto che la meccanica quantistica è derivabile interamente da sei postulati informatici. Che senso avrebbe la vita se non avessimo una vita interiore?”.
Mi viene da pensare che, più si comprende la meraviglia e la complessità del mondo, e più ne riconosciamo un’intrinseca divina perfezione. Ma per i presupposti di prima, noi siamo ciechi, non ci vediamo, e non vediamo nemmeno gli altri. La competizione per forza ha sostituito totalmente lo spirito collaborativo. E il mistero, le dimensioni sottili, la spiritualità, non esistono più. Claudio Naranjo diceva sempre che la spiritualità era diventata un percorso curriculare: infatti sembra che meditino tutti, abbracciano appartenenze a gruppi orientali, ma mi sembra che intorno a me le cose non siano poi così tanto cambiate, tutta questa spiritualità non la vedo.
D’altra parte la televisione nazionale ci propone una visione scientista, dove il mistero, le dimensioni sottili, l’intangibile, l’anima, ciò che non si può misurare, almeno per ora, un qualcos’altro, non esistono più, perché la questione o la si spiega con la scienza oppure sono chiacchiere da ciarlatani, che credono a stupidaggini senza alcuna base scientifica. Ma, dice Faggin, facciamo parte di un tutto tanto più grande di noi, di entità tanto più vaste di noi.
La recente scomparsa di un noto giornalista e divulgatore scientifico mi fa ricordare quanto da ragazzina ho amato guardare le sue trasmissioni in cui mi spiegava i misteri del cosmo, bellissime, ma poi l’avevo perso. Informandomi su di lui nel recente, ho sentito odore di materialismo riduzionista, come se gli ultimi 20-30 anni di scoperte nel mondo della scienza non ci fossero mai stati.
“La vita è solo un insieme di atomi, Da 0 a 3 anni, Oscar Mondadori, leggo che l’evoluzione è un montaggio sempre più efficiente, gli atomi che compongono la materia vivente e la materia non vivente sono gli stessi, la differenza consiste nella loro disposizione, nel modo in cui si uniscono insieme a costituire le molecole e come le molecole si legano tra loro. Partendo da questi elementi semplici si può teoricamente montare ogni cosa, bulloni, viti o un’automobile che funziona.
Analogamente si possono montare aminoacidi, proteine, o un uomo che funzioni. Non importa se sono figli di un muratore o di un avvocato, di un intellettuale o di un analfabeta, dai loro genitori hanno ereditato solo i cromosomi, cioè un substrato biologico. I fenomeni cosiddetti paranormali in realtà non sono mai stati osservati in condizioni controllate, quindi è del tutto inutile creare delle teorie sulla telepatia, sulla chiaroveggenza se poi queste cose non sono mai state osservate sotto controlli. Noi siamo esseri meccanici che si muovono grazie all’energia solare”.
Così devo sentirmi, un insieme di bulloni che si muovono grazie all’energia solare.
“La ricerca scientifica ci mostra chiaramente che l’individuo cosi come altro organismo vitale non contiene nessuna forza vitale ma soltanto un filamento di molecole diverso in ogni individuo, che reagisce ai cambianti ambientali come una rotaia reagisce al calore allungandosi. La fiamma della vita non contiene alcuna forza vitale, è semplicemente una struttura molecolare che si è modellata grazie al caso e agli agenti che intervenivano su di essa, in particolare l’energia solare”.
Mi sento invece più affine al pensiero del Prof Bruno Renzi, Psichiatra, psicoterapeuta, Dirigente presso il Dipartimento di Salute Mentale e Responsabile del centro di Medicina Psicosomatica e Funzionale Integrata presso l’Ospedale, il quale propone invece una visione vibrazionale della vita, una visione puramente energetica, perché lì ci sta spingendo la fisica quantistica. Il nostro corpo non ha solo una struttura biomolecolare ma anche una struttura energetico fisico quantistica, dove l’energia è costantemente presente, costantemente attiva.
Anche se non capisco bene nemmeno cosa si intenda dicendo che la mente è frutto di un’informazione quantistica, so che da sempre si cerca di comprendere il ponte fra la mente e le attività del cervello. Alcuni materialisti identificano la mente con le attività del cervello ma io credo che la cosa sia molto più complessa. Non credo sia il cervello a dare un senso e un significato a tutto quello che noi percepiamo, ma sia piuttosto una funzione che riguarda la coscienza, che si muove su un terreno molto più sottile.
Ora si sta cominciando a indagare quelli che sono i rapporti di confine tre quella che è una struttura biologica, quindi il cervello, e quello che è la mente. Leggo che la fisica quantistica sta dando tutta una serie di informazioni importanti e la si utilizza per fare tutta una serie di studi sull’attivazione di rappresentazioni cerebrali attraverso la stimolazione elettromagnetica trans cranica, per vedere come si modificano le varie aree cerebrali.
Trovo interessante condividere uno stralcio di un articolo del prof. Federico Faggin, La coscienza non è un algoritmo:
“Credo che la rivoluzione cruciale che può e deve avvenire in questo secolo è capire finalmente che non siamo macchine; che la vita, dal batterio più umile all’uomo, non è un algoritmo e va rispettata in tutte le sue forme; che il computer e il robot dotato di intelligenza artificiale non sono e non saranno mai coscienti; che la coscienza e il libero arbitrio non fanno parte di questo mondo fisico, ma esistono in una realtà più vasta che per il momento ignoriamo.
https://messaggerosantantonio.it/content/federico-faggin-la-coscienza-non-e-un-algoritmo
Penso proprio che saranno la rivoluzione informatica e lo studio della biologia quantistica, più che l’esplorazione spaziale, a insegnarci chi siamo veramente. Dobbiamo scoprire con le nostre forze che siamo incommensurabilmente più intelligenti dell’intelligenza meccanica dei computer, per quanto potenti essi siano, e dobbiamo aprirci alla vera dimensione spirituale che è la nostra eredità.
Spero che questo secolo possa essere l’era della coscienza, l’era del risveglio spirituale quando l’uomo scoprirà che la coscienza non è un algoritmo. La coscienza non è trasferibile perché non è una cosa; è ciò da cui nasce ogni cosa”
Dal narcisismo della nostra società sono finita a parlare di campi quantici, che quasi non capisco nemmeno cosa siano, ma ciò che mi pare di capire è che se non incominciamo ad uscire da noi per accorgerci che c’è altro fuori, forse anche di divino, andremo poco lontano come sviluppo.