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L’ultima campagna di promozione della professione messa in atto dall’ordine degli psicologi del Lazio ha suscitato in me qualche mal di pancia. Ho dovuto buttare giù qualche riga sui messaggi e le immagini utilizzate per dare forma al disagio su menzionato e approfondire i motivi per cui giudico la inadeguata.
Vi propongo le mie riflessioni tramite una riscrittura della stessa di modo che si possano meglio apprezzare le criticità che rilevo. Di volta in volta il banner originale sarà affiancato a quello da me riconsiderato riportando le ragioni della mia perplessità e modificando il messaggio per ridargli, a mio modo di vedere, un approccio più psicologico.
Per approccio psicologico intendo un approccio rispettoso della persona, empatico, volto a promuovere le potenzialità, non giudicante. Come dice Valeria Ugazio “Le persone sono molto intelligenti per quanto riguarda la loro vita” per cui nessuno deve insegnare loro a vivere. La terapia deve decostruire i vincoli e trovare nel danno la risorsa. Ed è proprio nel trovare la risorsa nel danno che propongo un approccio comunicativo integrativo, dove non esistono più contrapposizioni ma un armonia ripristinata.
Un ulteriore punto di riflessione è dato dal fatto che lo psicologo è solo lo psicologo clinico. Non esistono altri psicologi: davvero limitante nei confronti della professione. D’altro canto si fa attenzione alla differenza di genere e questo è un segno di modernità apprezzato da tanti.
Inoltre è singolare che dell’immagine degli psicologi clinici, che sulla comunicazione fondano il loro lavoro, se ne debba occupare un esperto di marketing che non è psicologo. A mio avviso uno psicologo del marketing avrebbe fatto meglio soprattutto perché non avrebbe stimolato i sentimenti più primitivi delle persone ed avrebbe avuto una sensibilità diversa. Anche se poi penso che questa campagna è stata approvata dall’ordine del Lazio quindi…
Infine voglio evidenziare lo spirito fortemente capitalista della campagna pubblicitaria: lo psicologo clinico viene considerato come un produttore di cambiamenti, al di là delle persone e dei luoghi. Produce un offerta standardizzata di cambiamento che deve essere consumata acriticamente perché di per sé buona. Smarcarsi da quest’ottica a mio modo di vedere è un imperativo categorico.
1) Quanti ne hai ancora nascosti?
La domanda fa esplicito riferimento agli scheletri che ogni persona potrebbe nascondere nel proprio armadio. A mio modo di vedere la domanda è intrusiva. Si indicano immediatamente le debolezze delle persone, il proprio passato problematico che potrebbe anche sforare il limite della legalità, senza mostrare alcuna sensibilità.
Il messaggio secondario peggiora la situazione perché rafforza il senso di intrusività utilizzando gli imperativi “affidati” e “metti” (“Affidati a uno psicologo e metti finalmente in ordine il tuo armadio“). Ecco, a questo punto l’unica parola che mi viene in mente è paternalismo, cioè l’atteggiamento per cui le persone non vengono considerate capaci di perseguire in modo autonomo il proprio benessere. In sintesi non si rispetta l’autonomia delle persone e si mina “ab origine” la possibilità di un rapporto di fiducia, per non parlare dell’infantilizzazione della persona nel momento in cui mette “finalmente in ordine il tuo (suo) armadio“.


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Al posto di entrare a gamba tesa sui problemi delle persone sarebbe utile mostrare rispetto e sensibilità per i problemi intimi (“scheletri nell’armadio”) escludendo subito una volontà intrusiva: “Non importa quanti ne hai nascosti”. Per poi sottolineare il senso di sicurezza che una persona dovrebbe provare dinnanzi ad uno psicologo: “l’importante è che ti senta al sicuro”.
Il messaggio secondario non dovrebbe prevedere alcun imperativo ma consigliare l’aiuto dello psicologo nell’eventualità si abbia bisogno di gestire un passato ingombrante, qualunque esso sia.
2) Ti senti ancorato al passato?
In questo banner si identifica il passato come qualcosa che ci blocca, non ci fa progredire. È un punto di vista ideologico che, a mio modo di vedere, fa riferimento più a diatribe teoriche tra correnti psicoterapiche che alle reali condizioni delle persone.
Il passato non è di per sé un elemento bloccante così come il futuro non è di per sé un fattore di sanità mentale. Passato e futuro sono concetti che possono aiutare a dar senso alle nostre esistenze e come tali dovrebbero essere trattati.
Il messaggio secondario ci propone altre due dicotomie “a fondo” vs “a galla” e “avanti” vs “indietro”. Ancora una volta penso che proporre messaggi di questo tipo non dia un idea propulsiva del rapporto con lo psicologo.


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Intendere concetti concilianti invece che contrapposti, reciprocamente cooperanti è stato l’obiettivo che mi sono posto scrivendo: “Il passato è un ancora di salvezza per intravedere il futuro”.
Il messaggio secondario non dovrebbe paventare un pericolo ma proporre un opportunità. Seguendo questa idea ho scritto: “Adesso puoi prendere il largo e uno psicologo, se vuoi, può aiutarti”. Il pericolo è una leva potente nel marketing ma siamo sicuri di dover vendere i nostri servizi solleticando gli istinti più bassi? Non credo!
3) In casa c’è qualcosa che vi divide?
In questo banner il muro viene visto come un elemento divisorio ed in effetti è tale nella realtà. Si fanno muri per dividere ambienti.
Di certo la divisione degli ambienti non è di per sé un atto ostile ma la necessità di gestire un confine. Al posto di concepire il muro come una limitazione senza la quale si starebbe meglio (visione ingenua della psiche) lo si potrebbe concepire come l’unico modo per aprire porte verso gli altri.


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Il messaggio principale recita: “In casa c’è qualcosa che vi divide?”. Si punta subito al dunque, di nuovo si entra a gamba tesa sui problemi o presunti tali. La persona ha creato un problema e lo psicologo prontamente lo risolve.
La mia riscrittura invece recita: “Bisogna alzare muri per aprire porte”. Ciò che fa la persona è giusto ed è a partire dal suo vissuto che possiamo costruire, eventualmente, una possibilità di comunicazione.
Il testo del messaggio secondario recita: “Alcuni muri non si possono abbattere. Non rimanere dall’altro lato, affidati a una psicologa”. Qui è il concetto di abbattere muri che mi lascia perplesso soprattutto perché parte dallo psicologo (o supposto tale) e non dalla persona (posto che la persona stia avendo una buona idea…).
La mia riscrittura: “È grazie alle protezioni che possiamo aprire varchi, con naturalezza. Altrimenti c’è uno psicologo che può darti una mano.” Il messaggio implicito è: accetto tutto ciò che fai senza volerti cambiare o giudicare, i tuoi muri hanno un senso, sono un messaggio forte e chiaro.
Deciderà la persona se a partire da quei muri aprirà varchi o meno. E se vorrà, potrà esserci uno psicologo a dargli una mano.
4) Senti di non avere una via d’uscita?
La domanda è: “Senti di non avere una via d’uscita?”. Un vissuto spiacevole sentirsi in gabbia ma che non si può imputare alla persona stessa. Sarebbe meglio poter offrire un consiglio immediato rispetto a questo vissuto.
Lo ritroviamo nel messaggio secondario che riconosce il periodo difficile ed indica una soluzione: fatti aiutare dallo psicologo.


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Qui non ci sono grosse criticità. Si potrebbe dare un consiglio immediato alla persona del tipo: “Senti di non avere vie d’uscita? Fermati e respira, non c’è bisogno di andare avanti.”
Qui l’imperativo ha un senso vista l’urgenza che la gabbia ed il panico sembrano imporre ma solo perché poi si riconosce la difficoltà del periodo e si consiglia uno psicologo.
5) Ti mangi il fegato ogni giorno?
In questo banner viene presentato un piatto vuoto con delle posate su di esso. Come ad attendere una pietanza che non arriverà mai. O meglio la pietanza sarebbe il fegato della persona.
Navighiamo nel campo alimentare, della nutrizione e la persona si nutre del proprio fegato. In sostanza se la prende con se stessa per le questioni della vita. Qui la domanda come al solito è diretta e non mostra un minimo di comprensione se non nel messaggio secondario dove viene riconosciuto il nervosismo.


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Riscrivo il messaggio principale aggiungendo subito ciò che manca, la comprensione dello stato in cui versa la persona: “Con tutto quello che passi ti mangi il fegato ogni giorno, ti capisco”. L’empatia è il miglior modo per “colpire” la persona.
Nel messaggio secondario approfondisco il problema ampliando le possibilità di affrontarlo: “Quanti modi di sfogarsi esistono?”. Poi offro una soluzione facendo riferimento allo psicologo ed alla sua capacità di instaurare una relazione veramente “nutriente”: “Parlarne con uno psicologo potrebbe trasformare la tua rabbia grazie ad una relazione nutriente!”. Il focus è: spostarsi dalle relazioni tossiche per abbracciare quelle che ci nutrono e ci fanno crescere.
6) Sei sempre sulla difensiva?
Qui il banner chiede: “Sei sempre sulla difensiva?”. Qui si individua un atteggiamento per cui si aspetta sempre il peggio dagli altri e si è pronti a reagire. C’è una totale mancanza di fiducia.
Come possiamo approcciare una persona che è sempre pronta ad attaccare e quindi non ha fiducia nella buono dell’umanità? Validando il suo bisogno di stare sulla difensiva. Non c’è altro modo.
Sarà la stanchezza della persona ed il suo bisogno di fiducia a suonare un campanello d’allarme che può solo essere invocato ed eventualmente indirizzato verso un aiuto.
“Forse è arrivato il momento di abbassare la guardia. Con l’aiuto di uno psicologo”. Questo il messaggio secondario. Già me la vedo la persona “sempre sulla difensiva” chiedersi: “Lo decidi tu quando è arrivato il momento di abbassare la guardia?”. Il solo ipotizzare che si debba abbassare la guardia metterebbe in guardia la persona…


Come riscrivo il messaggio in senso più psicologico?
Il primo messaggio a mio modo di vedere andrebbe riscritto così: “Sei sempre sulla difensiva, sei una roccia!”. Come ho detto precedentemente bisogna validare ciò che la persona sente essere necessario.
Il messaggio secondario verrebbe così: “Quante volte ti sei dovuto difendere? Solo la tua stanchezza ed il tuo bisogno di fiducia può dirti se è il caso di andare da uno psicologo.”
Disclaimer
Qui in basso potete trovare la campagna originale e visionarne anche i commenti. Le immagini sono di proprietà dell’ordine degli psicologi del Lazio e sono state utilizzate al fine di esercitare un pensiero critico. Se l’ordine deciderà che il seguente uso è inappropriato le rimuoverò.