Voglio condividere con i Collegh* lettori queste mie considerazioni su ciò che significa essere psicologi e fare lo psicologo oggi. Paradossalmente penso che se dovessi esprimere cos’è e cosa fanno gli psicologi oggi più che mai credo che l’unica definizione effettivamente socializzata sia: “psicologi…”, appunto!
Sì, perché sebbene si sia fatto e si stia facendo molto, esistono ancora tante fantasie e ahimè, paure, intorno allo psicologo come figura professionale e, prima tra tutte, che esso sia un “professionista che giudica” ancor prima di comprendere, analizzare, valutare (che non equivale a giudicare).
Proprio per questo, tra i collegh* di Professione & Solidarietà, ci stiamo confrontando su questioni che ci sembrano essere molto importanti per tutti noi; tra queste, centrali ci sembrano essere quella relativa al come chiarire i confini della nostra identità professionale per meglio definirli dentro e fuori la nostra comunità professionale; e il fenomeno delle reazioni, anche violente, come effetto collaterale al nostro lavoro, che possono diventare incontrollabili reazioni di un “branco”; insomma, si vuole potenziare, con un agire innovativo da mettere a sistema, la nostra presenza in due campi d’azione che permettano a tutt* psicolog* di lavorare meglio e di più.
Credo non possa essere considerato una Cassandra (ovvero brutto, cattivo e/o pazzo) chi riconosce il cambiamento in cui siamo immersi, e che richiede un nuovo modo di pensare, di fare e quindi di Essere; e che non intende “far piazza pulita di tutto per ricostruire altro”, ma aggiornarci ai cambiamenti, registrare la nostra emotività, i nostri costrutti, la nostra morale… e così arrangiarci all’onda lunga della storia che si dispiega senza poterla fermare.
Migliorare noi stessi quindi? No, essere capaci di registrarci su una realtà fisica e metafisica (oggettiva e culturale) che è cambiata e sta cambiando. L’umanità appare adesso come un surfista in un mare oceanico che può cavalcare l’onda perfetta, guardare e andare lontano, divertendosi pure se è capace di comprenderne l’origine, ma che non può opporsi né permettersi di non comprendere le sue dinamiche perché ne rimarrebbe inevitabilmente travolto.
Ecco allora che in una specie di gioco di figura / sfondo emerge prepotente il bisogno di capire meglio quest’onda e la necessità di “come fare” a cavalcare la stessa, bisogno e necessità che richiedono la conoscenza. Ricordo che la conoscenza non è nozionismo a spot, ma visione d’insieme, critica e articolata. “Rem tene, verba sequentur / Capisci la cosa, le parole verranno da sé”, così sembra avesse detto Catone, appellato il Censore.
Ecco allora che lo sfondo ci appare chiaro: complesso perché vario; tutto si sta modificando in fretta; e questa varietà di cambiamenti necessita di approfondimenti e quindi di specializzazioni scientifiche e professionali che creino figure nitide e congruenti con la realtà in divenire.
Questa è la mia proposta di vision per ridefinire i confini della nostra identità professionale ed essere davvero comunità solidale, capace di valorizzare i suoi membri e rendere efficienti le loro (e nostre) azioni concrete, dando così risposte autentiche ai bisogni reali delle persone fuori e dentro la categoria professionale.
Questo cambiamento di prospettiva lo stanno facendo anche gli psicologi, ma dobbiamo continuare in questa direzione arrangiando meglio le modalità perché ci sono quelli che si specializzano in ambito clinico, del lavoro ecc… esattamente come gli ingegneri nella meccanica, edilizia…, i medici in cardiologia, pediatria ecc…, ma non c’è il rischio di iper-specializzarsi e di perdere la visione d’insieme? Ci stiamo ‘disumanizzando’ anche noi psicologi? A questo proposito mi sono riletto l’articolo del collega dr. Rolando Ciofi “Cosa può fare lo psicologo clinico non specializzato in psicoterapia? Cosa gli è vietato?” che consiglio di leggere per arricchire la propria consapevolezza sulla professione di psicologo non specializzato ma non per questo impedito all’esercizio della sua stessa professione.
Il Punto (lo scrivo con l’iniziale maiuscola intenzionalmente) in realtà sembra essere, appunto, “complesso” , ma che non può più essere rimandato proprio per la spinta dell’onda dei cambiamenti in essere – o, meglio, delle onde.
Ecco perché stiamo affrontando i temi dei confini professionali e della solidarietà tra colleghi in P&S sia nel gruppo Responsabili Regionali che in quello Comunicazione.
I confini, dicevamo, sono per primi quelli esterni, è vero, quelli che definiscono la professione quindi chi è l* psicolog? Ma anche i confini interni, tra tutti collegh, che possono essere declinati solo in un modo: con il rispetto.
È un concetto antico, ma per nulla scontato, ma qui lo voglio ripetere prima di tutto a me stesso: il rispetto per la persona, la formazione, il lavoro, le idee, l’impegno, anche la pubblicità che fa ognuno di noi alla professione (quindi anche a se stesso) con quello che è e quello che fa e come si comporta con i colleghi (per es: è propositivo promuovendo la professione? Bene).
Io nella mia vita ho ammirato e ammiro ancora molti colleghi che mi hanno illuminato prima e così formato, come il Professor Agostino Racalbuto e la dr.ssa Gemma Pompei (e molti altri), e a cui sono riconoscente; e lo dico nominandoli e riconoscendo nel mio lavoro il loro contributo alla categoria e alla mia professionalità, senza rubare nulla a nessuno, bensì dando in cambio (bisogna saper prendere ma anche dare, si dice, no? ); e questo mi permette di essere sereno perché solo così posso essere corretto e autentico e beneficiare dell’anticorpo psichico indispensabile (per me e per chi mi sta intorno) contro i sentimenti lordanti e distruttivi.
Così ci sono “modi” che possono essere introdotti in tutta la professione, tra tutti i colleghi, per rendere questo strumento catalizzatore e volano di arrangiamento per tutti. Ragionando insieme e accogliendo i promotori degli arrangiamenti della professione all’onda della realtà, offriamo un’immagine di come si fa a costruire un gruppo, una categoria, un ambiente positivo e propositivo, oltre che condividere dinamiche creative/generative delle intuizioni, idee, proposte, azioni degli altri colleghi.
Riconoscere il merito, coinvolgere, lavorare insieme a chi ha intuizioni e idee di ri-arrangiamento, coinvolgendo il più possibile gli altri, questo credo sia il tema che sta affrontando l’umanità di oggi, di cui noi facciamo parte.
Trovo esserci solo un misunderstanding rispetto alla scalabilità: non vuol dire copiare, ma prendere ispirazione e riconoscere la fonte che permette di fare squadra evitando così le guerre e quindi fare di più, meglio e tutti insieme.
In merito al perché e al come credo sia proprio agli psicologi che si rivolge la responsabilità a rispondere, non in maniera esclusiva, sicuramente, ma con desiderato invito, forse talvolta mascherato (ad esempio, la rabbia sociale), dei più.
C’è una citazione che avevo dimenticato e grazie ad alcuni colleghi più anziani ho rispolverato: “Siamo nani sulle spalle dei giganti”, affermazione del filosofo e teologo Bernardo di Chartres e che risale agli anni Mille della nostra civiltà.
E’ proprio così: sulle solide basi della conoscenza, sulle spalle dei giganti, si siedono i nani e così vedono lontano; e per questo i giganti non schiacciano, i nani, bensì li riconoscono, li aiutano tenendoli in alto e li sostengono, così, insieme, vanno sicuri verso l’orizzonte infinito.
Stiamo parlando di consolidare e pretendere il rispetto tra Colleghi, usare quei bei sentimenti che sappiamo insegnare agli altri: l’apprezzamento, la stima, la gratitudine… anche verso i Colleghi che scrivono, progettano, fanno ricerca; sosteniamo e uniamoci ai nuovi progetti, cerchiamo il buono e il bello e lavoriamo con chi fa le proposte per far scintillare le nuove idee e azioni unendoci ad esse facendo squadra.
Io ci credo moltissimo, noi di P&S ci crediamo moltissimo, per questo siamo Professione & Solidarietà (siamo i giganti e i nani insieme, gli uni che sostengono gli altri).
Veramente abbiamo già lavorato e stiamo ancora lavorando per mettere a terra altri programmi e progetti, modi di socializzare la professione declinandola in forme nuove e soprattutto capaci di rispondere ai bisogni emergenti delle persone che di certo non sono indotti, ma, al contrario, chiedono a gran voce (con gli acting out individuali, le relazioni sempre più faticose, le credenze disfunzionali diffuse e – non per ultimi – i fatti sociali) d’essere, in quest’ordine: visti, riconosciuti, compresi e affrontati.
Le fondamenta su cui sediamo sono, per esempio, l’art. 33 del nostro Codice Deontologico entrato in vigore il 16/02/1998, da poco rinnovato e che sarà oggetto di consultazione referendaria nel prossimo settembre.
I rapporti tra gli psicologi devono perciò ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del proprio rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Noi di P&S vediamo che tutto questo lo possiamo perseguire con azioni progettate e programmate in modo innovativo portate nell’Ordine nazionale e in quelli regionali e di tutti i gruppi (associazioni o organizzazioni) fino ai singoli liberi professionisti, alle attività di ciascuno per mezzo di un gruppo che crede, persegue e agisce intenti e azioni di sostegno ai singoli Colleghi tutti: grassi e magri, alti e bassi…
Ci siamo trovati su questo e chiamati Professione & Solidarietà anche per questo.