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“La forza mentale distingue i campioni dai quasi campioni”
Rafael Nadal, tennista
La psicologia dello sport può essere definita come la disciplina scientifica che studia gli aspetti psicologici, fisiologici, sociali ed educativo-pedagogici dell’atleta in un’ottica multidisciplinare.
Storicamente nasce negli anni Venti del 1900, con la creazione a Berlino del primo laboratorio di psicologia sportiva ad opera di Carl Diem.
Pochi anni dopo Coleman Griffith istituì negli USA presso l’Università dell’Illinois il primo laboratorio statunitense in cui si studiavano i fattori psicologici in grado di influenzare la performance sportiva (1925).
A causa della Grande Depressione e successivamente dello scoppio della Seconda Guerra mondiale l’interesse per l’indagine scientifica sugli sport e sugli sportivi diminuisce, ma negli anni Sessanta del Ventesimo Secolo cresce l’attenzione per la ricerca delle variabili capaci di influenzare i comportamenti atletici.
E’ possibile affermare che l’esordio della disciplina come area di ricerca autonoma della scienza psicologica risale al 1965, anno in cui si tenne in Italia, a Roma, il Primo Congresso Mondiale di Psicologia dello sport grazie all’opera di Ferruccio Antonelli che nel 1970 fondò l’International Journal of Sport Psychology.
Con il consolidarsi della ricerca scientifica sul tema e il riconoscimento dell’efficacia delle metodologie e delle tecniche d’intervento sul campo, la psicologia dello sport viene sempre più ad affermarsi anche in ambito universitario, con l’istituzione di master, corsi di specializzazione e dottorati.
Lo psicologo che si dedica a tale disciplina deve attualmente aver conseguito una Laurea Magistrale quinquennale e una formazione specifica di almeno 50 ore in Psicologia dello Sport, e aver superato l’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale quale psicologo.
Per il profilo dello Psicologo sportivo non è richiesta una formazione specifica in psicologia clinica né tanto meno la successiva Specializzazione in psicoterapia.
Infatti questa particolare branca della scienza psicologica circoscrive il suo intervento sull’area della prestazione sportiva, evitando di approfondire eventuali aspetti “patologici” della persona che è atleta; in altri termini, si evita intenzionalmente di indagare la storia familiare, i traumi del passato, le relazioni affettive; laddove questi aspetti dovessero emergere nel lavoro con l’atleta si effettua l’invio agli specialisti competenti per gli opportuni approfondimenti diagnostici e gli eventuali conseguenti trattamenti sanitari.
Lo psicologo sportivo, invece, concentra l’attenzione e gli interventi sulla performance, sull’analisi della stessa e per indagare le migliori modalità possibili al fine di esprimere le potenzialità dell’atleta e per raggiungere i migliori risultati possibili.
Muhammad Ali, il migliore tra i migliori pugili al mondo secondo moltissimi, ha affermato che
“i campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità”.
Lo sport perciò non è solo movimento e abilità, ma è anche, e soprattutto, atteggiamento mentale, motivazione e volontà, per cui la mente così come i muscoli, ha bisogno di allenarsi.
Questi obiettivi vengono raggiunti analizzando le motivazioni, i pensieri, i vissuti emotivi e la personalità dell’atleta che potrebbero essere un ostacolo alla performance sportiva, e attraverso l’utilizzo di tecniche di imagery.
Per poter dare il meglio della propria prestazione professionale, è fondamentale che lo psicologo dello sport conosca la disciplina sportiva in cui va ad operare: le regole, i principi tecnico-tattici, i requisiti motori, le abilità sport-specifiche e naturalmente gli aspetti psicologici e relazionali coinvolti.
In particolare lo psicologo dello sport tiene conto di alcune specifiche dimensioni che possono essere così sintetizzate ed elencate:
- Goal setting;
- Gestione del Self-Talk;
- Regolazione delle emozioni;
- Imagery;
- Modulazione dell’arousal;
- Stato di Flow.
Goal setting
Il Goal setting rappresenta il momento di pianificazione degli obiettivi e la loro successiva realizzazione.
È uno dei punti chiave della preparazione mentale in ambito sportivo.
Comprendere bene cosa si vuole ottenere, in quanto tempo e con quale strategia, accresce la possibilità di raggiungere l’obiettivo che si è prefissato.
Questa fase è molto delicata in quanto influenza notevolmente la performance dell’atleta.
Gestire il Self-talk
Un altro aspetto fondamentale è la gestione del Self-talk, ovvero la gestione del dialogo interiore. Ognuno di noi ha un suo modo di dialogare con se stesso, e questo dialogo influisce fortemente la prestazione.
Ciò che ci diciamo diventa realtà.
Per questo, in ambito sportivo, e non solo, è fondamentale trasformare il dialogo interno prendendone in primo luogo, consapevolezza e poi trasformarlo, successivamente, in pensieri positivi. Il citato Muhammad Ali, preparandosi all’incontro con Foreman, al tempo considerato come il pugile fisicamente più forte mai esistito, credeva fermamente di vincere la competizione e si ripeteva frasi come: “Io pianifico la mia strategia”, “Lui è il toro, io il matador”, “È spaventato a morte”, “Quando lo guardo lui vorrebbe scappare. È terrorizzato”.
Alì mentre stava allenando il fisico, al tempo stesso allenava la sua mente, aveva piena fiducia nelle sue capacità, era convinto di poter vincere quell’incontro e così fu.
Regolazione delle emozioni
Un altro aspetto fondamentale nella preparazione mentale, è la regolazione delle emozioni.
Per l’atleta, essere consapevole e avere la capacità di regolare le proprie emozioni, si rende necessario per migliorare la prestazione sportiva.
È evidente che uno stato di ansia o di agitazione può incidere sulla prestazione ottimale del gesto atletico. Lo psicologo dello sport fornisce all’atleta gli strumenti per gestire gli stati emotivi in funzione della giusta attivazione e della giusta concentrazione.
Questo comporta la capacità di portare l’attenzione dove conviene – il compito, l’obiettivo immediato – al fine di realizzare la prestazione.
Tecniche di Imagery
L’imagery (o visualizzazione), rappresenta una delle tecniche maggiormente utilizzate in psicologia dello sport per migliorare la prestazione atletica.
Può essere definita come un processo attraverso il quale le esperienze sensoriali, in assenza di stimoli esterni, vengono immagazzinate, richiamate internamente e rappresentate (Murphy,1994).
Attraverso l’imagery è possibile ri-evocare immagini visive, sensazioni tattili, cinestesiche, propriocettive, suoni, odori e sapori.
Mediante l’utilizzo di questa tecnica, l’atleta è in grado di visualizzare mentalmente lo svolgimento di una propria gara fin nei minimi dettagli, senza necessariamente trovarsi in quel contesto.
“Un militare americano, il colonnello George Hall, venne tenuto prigioniero in Vietnam per alcuni anni.
Venne mantenuto in condizioni tali da rendergli difficile mantenersi in buona salute e, senza dubbio, non gli fu possibile praticare il suo sport preferito, il golf.
Per tenere la mente occupata e mantenere il suo equilibrio mentale, giocava mentalmente un giro di golf sul suo campo preferito, almeno una volta al giorno, questo per tutto il periodo di cinque anni e mezzo in cui rimase prigioniero e nonostante fosse tenuto per la maggior parte del tempo in isolamento, in una cella larga 2,5 x 2,5 m.
Prima di partire per il Vietnam aveva raggiunto uno specifico livello professionistico di gioco.
Cinque anni e mezzo più tardi, al suo ritorno gli venne chiesto di giocare un giro con alcuni amici.
Con loro meraviglia e nonostante le sue deboli condizioni fisiche, giocò immediatamente allo stesso livello professionistico che aveva in passato.
Quando gli amici espressero il loro stupore e dissero che non aveva giocato per cinque anni e mezzo, rispose che, al contrario, aveva giocato mentalmente ogni giorno, per l’intero periodo, e che conosceva ogni filo d’erba, ogni ostacolo e ogni tiro che avesse mai effettuato”
(Garratt, 2008)
Ogni giorno della sua prigionia, lui aveva visualizzato mentalmente di giocare a golf con i suoi amici, vedeva il campo con tutti i suoi dettagli e in questo modo era riuscito a mantenersi allenato senza trovarsi nel contesto del campo.
Questa è la forza dell’Imagery.
Modulare l’arousal
Un altro aspetto a cui lo psicologo dello sport deve prestare attenzione è la modulazione dell’arousal, ovvero il livello di attivazione psicofisiologica generale.
Le ricerche in Psicologia dello Sport hanno evidenziato come esista uno strettissimo rapporto tra l’attivazione psicofisiologica e la riuscita di una buona prestazione.
Citiamo a questo proposito la teoria della U capovolta di Yerkes e Dodson (1908).

Secondo questa teoria un basso livello di attivazione corrisponde a una prestazione bassa: l’atleta è poco motivato o scarico, ha difficoltà di concentrazione e fatica a raggiungere un livello ottimale della performance.
Man mano che l’attivazione cresce, aumenta la qualità della prestazione fino a raggiungere il massimo della prestazione che corrisponde al vertice della U rovesciata, dove l’atleta sperimenta un buon livello di energia, i suoi muscoli sono attivati in modo ottimale, il suo livello di attenzione e concentrazione sono allineati con un’ottima prestazione.
Quando invece, il livello di attivazione sale ulteriormente, quindi è presente un’iperattivazione, la prestazione decade, il tono muscolare è iperattivato conferendo rigidità e tensione che va ad interferire con la prestazione sportiva.
Perciò la prestazione migliore si presenta in una fase intermedia dell’attivazione generale, che corrisponde con quella parte utile di ansia e stress che si traduce in un prestazione sportiva ottimale.
Lo stato di Flow
Lo “stato di Flow” costituisce uno tra i costrutti psicologici più interessanti applicati alla psicologia sportiva, designando “il momento magico dello sportivo”.
Questo “flusso creativo“, così come è stato individuato per la prima volta dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi, è descrivibile come uno stato di coscienza in cui la persona è interamente immersa in una determinata attività.
Nello “stato di Flow” gli individui si identificano completamente con ciò che stanno facendo, l’attenzione è focalizzata esclusivamente sul compito.
Sono talmente coinvolti dal compito che stanno svolgendo da perdere la consapevolezza di se stessi, dei problemi della vita quotidiana, si verifica quasi uno stato di auto dimenticanza.
È un’esperienza estremamente piacevole, durante la quale si perde la cognizione del tempo e sembra svanire tutto ciò che non appartiene al compito (Csikszentmihalyi, 1990).
In campo sportivo gli atleti la definiscono come
«la zona dove l’eccellenza non richiede sforzo, e la folla e gli avversari spariscono in uno stato di beato e costante assorbimento nell’attimo presente»
(Goleman, 2008, 118)
Bruce Jenner, il campione olimpico di decathlon, ricorda così le Olimpiadi di Montreal del 1976:
“Una strana sensazione cominciò a prendermi.
Nelle prime quattro specialità avevo stabilito tre migliori prestazioni personali.
Cominciai ad avere la sensazione che non c’era niente che io non potessi fare.
Era come fossi in possesso di una potenza senza limiti.
Mi faceva quasi paura la facilità con cui battevo ogni record personale.
Non ero sulla terra come tutti gli altri”
(B. Jenner, 1976)
La storia dei grandi campioni ci insegna che per raggiungere un obiettivo bisogna crederci, dobbiamo credere che sia possibile, che siamo in grado di farlo, che un’impresa diventa possibile quando crediamo che sia realizzabile.
“Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te.”
Kobe Bryant
Così Kobe Bryant, giocatore di Basket, riecheggiando forse inconsapevolmente lo scire te ipsum di socratica memoria.
La psicologia sportiva si configura perciò al momento attuale come una disciplina scientificamente fondata e professionalmente specifica, per sua stessa natura pluridisciplinare, che non può confondersi con altre professionalità proprio perché in grado di circoscrivere il proprio ambito di intervento in scienza, arte e coscienza, senza confondere i diversi piani e livelli di conoscenza dell’atleta come persona, nel rigoroso rispetto della stessa.
Sarebbe opportuno che la comunità professionale psicologica s’impegnasse maggiormente nel riconoscimento di questo profilo, tutelando le sue specificità.
Nel contempo sarebbe auspicabile un impegno maggiore anche da parte delle Università sia in chiave di orientamento per il futuro professionista sia per rinforzare l’offerta formativa per la psicologia sportiva.
E’ appena il caso di accennare in chiusura quanto tale disciplina già contribuisce e ancor più potrebbe contribuire per la promozione della salute e del benessere per tutte le fasce d’età e per la gestione di particolari condizioni sanitarie, come le patologie croniche (ad esempio, il diabete), in ottica multiprofessionale.