Molti di noi si saranno imbattuti, attraverso gli Ordini regionali, in una lodevole iniziativa proposta dal Gruppo di Lavoro Sociale – Welfare del CNOP: un censimento delle attività degli psicologi nel contesto socio-sanitario.
Certamente è molto importante comprendere, soprattutto in questo periodo di pandemia, quali possibilità e modalità lavorative ci siamo dati come categoria professionale all’interno del grande territorio definito socio-sanitario.
Come è evidente la laurea in psicologia è davvero un punto di partenza dal quale poi ci si imbatte in percorsi per lo più simili a dei labirinti, spesso a causa di informazioni poco chiare, della difficoltà di farsi spazio nel mercato del lavoro, del percorso di studi universitario che non rende pronti all’inserimento nel mondo lavorativo.
In questa situazione, così complessa, ogni psicologo è dinanzi ad una scelta che ha almeno 3 risposte:
- cambiare percorso professionale
- guadagnarsi con le unghie e con i denti “un posto” da psicologo
- diventare un “esploratore-psicologo” all’interno di quelle aree di confine dove si sperimentano nuove possibilità e modalità lavorative.
Il questionario proposto dal CNOP ha proprio il fine di acquisire informazioni specifiche circa le attività svolte dallo psicologo negli Enti Locali e nel Territorio.
Il questionario però sembra dimenticarsi fin da subito della natura “dinamica” della psicologia, in quanto occupandosi di persone e comportamenti è davvero un elemento che irrompe in maniera trasversale in moltissimi contesti: sarà per questo che uno psicologo non lo si nega mai a nessuno! (permettetemi un po’ di ironia).
E’ come se noi volessimo parlare dell’acqua, osservandola nella sua forma di cristallo di ghiaccio, dimenticando la sua natura versatile, la sua capacità di essere anche vapore o liquida. Così probabilmente le prime due domande avranno messo in crisi molti di noi:
- lavori come psicologo? SI-NO
- se hai risposto no alla domanda precedente lavori come?
Animatore-educatore-altro
Ma quanti di noi sono psicologi E altro? Ma altro cosa? Quali sono questi ambiti dove le competenze di uno psicologo si fanno spazio, costruiscono nuovi ponti professionali?
Probabilmente, molti di noi quotidianamente si ridefiniscono all’interno di quello spazio compreso tra SI e No, con un gran lavoro che ha difficoltà ad essere visto, riconosciuto e considerato una risorsa.
Dopo la laurea, le varie specializzazioni e tirocini, la maggior parte degli psicologi prosegue praticando la libera professione, all’interno della quale sviluppa relazioni e collaborazioni con diverse realtà territoriali, avendo modo di esplorare bisogni ed esigenze che non hanno una risposta adeguata (soprattutto in ambito socio-sanitario).
Così si strutturano risposte mirate che spesso confluiscono in nuove competenze che arricchiscono lo psicologo che diventa anche “altro”.
La professione dello psicologo (soprattutto libero professionista) è certamente “dinamica” fin dall’inizio: infatti spesso ha molte specializzazioni e di conseguenza opera con una clientela variegata (es. scuola, famiglia, associazioni, cooperative, terapia individuale, di gruppo, ecc).
Questa dinamicità porta lo psicologo anche muoversi in aree di confine, così come l’acqua del fiume che si immette nel mare a chi apparterrà? Al fiume o al mare?

Ciò porta ad una grande difficoltà di poter essere definiti in una situazione lavorativa statica.
Il mio auspicio è che il questionario sia davvero compilato da tutti noi aggiungendo tutto quell’“ALTRO” che arricchisce il singolo professionista, ma anche tutta la categoria professionale, in modo che possa esserci, magari, anche un seguito a questo censimento che raccolga tutte quelle preziose informazioni che sembrano essersi perse tra “un si e un no”.